Ranieri-Roma: dove eravamo rimasti

Riavvolgiamo il nastro: 20 febbraio 2011, al triplice fischio di Orsato lo stadio di Marassi esplode in un'ovazione. La rimonta del Genoa ha del clamoroso, da 0-3 a 4-3 contro la Roma nell'arco di un solo tempo. Claudio Ranieri, che da un anno e mezzo guida i giallorossi, al rientro nella Capitale comunica al presidente Rosella Sensi l'intenzione di dimettersi. Il tutto viene formalizzato il giorno dopo a Trigoria, centro sportivo che (ai tempi) ospita anche gli uffici amministrativi del club. All'uscita Ranieri, incalzato dai giornalisti, si lascia sfuggire: “Qui ci vorrebbe la frusta”. Parole che si prestano a mille interpretazioni, quella più accreditata vuole che siano stati gli stessi calciatori (o almeno quasi tutti) a farlo fuori, un golpe interno portato a segno con l'incredibile ribaltone maturato all'ombra della Lanterna

Capitolo primo

Sia stato o meno un ammutinamento della squadra a determinare la fine della prima era Ranieri resterà un dubbio da ascrivere al vasto archivio dei misteri romanisti. In buona compagnia con il giallo del 25 aprile 2010: i giallorossi, reduci dal successo casalingo con l'Inter di Jose Mourinho valso la vetta solitaria in classifica, all'intervallo conducono per 1-0 la partita con la Sampdoria di Luigi Del Neri, che culla sogni di qualificazione Champions. Risultato striminzito per gli uomini di Ranieri, che nella prima frazione hanno disputato probabilmente i 45 minuti qualitativamente migliori della stagione. E' solo un'illusione: la Roma rientra in campo con tutt'altro spirito, inspiegabilmente sotto choc e finisce con l'essere raggiunta e superata da una doppietta di Giampaolo Pazzini. Spazio alle speculazioni nelle ore successive, che si alternano alle recriminazioni per un rigore netto non concesso per un mani in area del doriano Gastaldello. La più battuta nel variopinto mondo dell'emittenza e della stampa locale parla di un confronto fisico nello spogliatoio, nell'intervallo, tra Mirko Vucinic e Simone Perrotta per un pallone non passato che costringe il resto della squadra a intervenire per evitare il peggio. 

Epilogo triste

Non citiamo quest'episodio a caso, perché c'è una sottile linea rossa che collega i due momenti decisivi di quell'era Ranieri, incredibilmente legata a due squadre della stessa città: Sampdoria prima, Genoa poi. Alfa e omega della parabola discendente di quella fase di storia romanista. Se ne accorge subito, sir Claudio da San Saba, quando, incassata la conferma, parte per il ritiro di Riscone di Brunico e lo dice a chiare lettere in conferenza stampa: qualcosa è cambiato. Chi lo ascolta trasalisce, pensando che l'esaltante campionato appena concluso, con l'Inter orfana di Mourinho, non possa non essere prodromo della gioia tricolore. Ma Ranieri, vecchio lupo cresciuto a pane e gavetta prima di spiccare il volo, conosce il calcio come pochi. E sa che quella squadra, ereditata da Luciano Spalletti nel settembre 2009, ha esaurito l'energia, la voglia di lavorare, lo spirito di sacrificio. Il mercato poi, complice il rosso in bilancio che impone un rigoroso autofinanziamento, non aiuta: rinfrescare la rosa è cosa impossibile. Ma lui non molla, va avanti finché può. Perché Roma e la Roma per lui, cresciuto a due passi da Testaccio, sono un sogno inseguito per tutta una vita. 

L'arrivo

Chi ha memoria del calcio anni 90 ricorda che il nome di Ranieri cominciò a essere accostato alla Roma nella stagione 94-95. A Franco Sensi quel quarantaquattrenne (ai tempi tecnico della Fiorentina di Batistuta) sembrò il giusto erede del trasteverino Carletto Mazzone per proseguire il progetto di una Roma intrisa di romanità e romanismo capace di far innamorare i tifosi nonostante l'assenza di campioni conclamati (Totti era ancora un 19enne imberbe). Non se ne fece niente, ma l'appunto sul taccuino del presidente giallorosso rimase. Lo ricordò Rosella Sensi – nel frattempo subentrata al padre nella guida del club – proprio nella conferenza di presentazione di Ranieri, il 2 settembre del 2009. “Ho scelto Ranieri perché ho trovato il suo nome negli appunti di mio padre” disse.

Andata… 

Da quella nota rinvenuta in un cassetto erano passati 14 anni. Nel frattempo il tecnico, da Firenze si era spostato all'estero: Valencia, Madrid (sponda Atletico), Londra (Chelsea) e poi di nuovo Valencia, tutte squadre che ha saputo incanalare sulla strada del successo sia pur con un bottino magro in termini di trofei (se si eccettua una Coppa di Spagna conquistata col Valencia). Il ritorno in Italia coincide con il miracolo di Parma nel 2007. Chiamato in febbraio a guidare i gialloblu dopo l'esonero di Stefano Pioli, Ranieri con un bottino di 27 punti in 16 partite consente ai ducali di raggiungere un'insperata salvezza all'ultima giornata. L'incredibile risultato gli vale l'ingaggio da parte della Juventus, che vede in quest'uomo dalle mille risorse il timoniere adatto a far uscire la Vecchia Signora dalle acque turbolente del post calciopoli. Il feeling con la piazza torinese non sboccia mai, nonostante il terzo posto nel 2008 che vale il ritorno in Champions a soli due anni dalla retrocessione in B decisa dalla giustizia sportiva. L'esonero arriva l'anno seguente dopo una serie di risultati negativi. Si chiude il portone di Vinovo, si aprono i cancelli di Trigoria: pochi mesi dopo è a Roma, sempre con l'incarico di rimettere insieme i cocci di un vaso che sembra impossibile da ricomporre. Di quell'anno e mezzo, oltre all'impresa scudetto sfiorata, si ricordano i 4 derby su 4 vinti tra campionato e Coppa Italia e almeno due show in conferenza stampa: la sfuriata contro i giornalisti del 18 settembre 2010 e la risposta fra l'ironico e il piccato a un cronista della Lazio che recriminava su presunti favori arbitrali ai giallorossi durante una stracittadina. 

E ritorno…

Con Roma alle spalle, Ranieri, nel 2011 imbocca la strada per Milano. Subentra a Giampiero Gasperini a fine settembre. L'inizio è promettente, il prosieguo no: il miracolo stavolta non riesce e sir Claudio viene sostituito da Andrea Stramaccioni, altro romano e romanista. Tornano a spalancarsi le porte dell'estero: Monaco, nazionale greca e, soprattutto, Leicester, dove Ranieri diventa un'autentica leggenda. Costruisce una squadra coriacea raccolta attorno alle giocate di Mahrez, ai muscoli di Kantè e ai gol di Vardy. La vittoria della Premier è celebrata in tutto il mondo, ma non gli vale la riconoscenza eterna. L'anno successivo rischia la retrocessione e il club lo licenzia fra le proteste dei tifosi che arrivano a minacciare di morte alcuni giocatori. Le due successive avventure, al Nantes in Francia e nuovamente in Inghilterra (al Fuhlam) non resteranno negli annali della storia. Sono esperienze brevi, ma è meglio così, altrimenti come avrebbe potuto dire ancora di sì alla sua Roma che lo chiama per sostituire Di Francesco e tentare l'aggancio alla qualificazione Champions in soli 3 mesi? Ai giallorossi non chiede garanzie, né economiche, né di rinnovo: firma e basta. “Alla Roma non posso dire di no” ripete ai suoi, come la prima volta. Nel suo futuro, forse un ruolo da direttore tecnico, incarico nel quale potrebbe scegliere il suo successore. Maurizio Sarri, magari, attuale tecnico del Chelsea, la sua prima squadra inglese: alla faccia delle sliding doors…