La diplomazia sportiva che abbatte i muri

In attesa di conoscere l'esito dei colloqui fra le due Coree, previsti per il 9 gennaio prossimo, la sola possibilità di vedere gli atleti di Pyongyang gareggiare alle Olimpiadi invernali che si svolgeranno in Corea del Sud segna un'ennesima riprova di come lo sport possa rendersi strumento di diplomazia laddove la politica fatica a riuscirvi. Non è certo la prima volta che, in coincidenza con eventi sportivi di grande rilevanza, le dispute fra Paesi lasciano il posto alla competizione amichevole e pacifica fra atleti di tutto il mondo, in pieno rispetto di quello che fu lo spirito con il quale vennero concepite le prime Olimpiadi. E' vero che, nel corso della storia, non sono mancati episodi che, al contrario, hanno leso l'immagine dello sport attraverso l'intromissione di aspetti legati a controversie socio-politiche fra gli Stati, ma è altrettanto vero che, nella maggior parte dei casi, la partecipazione a importanti competizioni ha messo da parte l'astio geopolitico per lasciar spazio a episodi di comunità e rispetto.

La sportività ai tempi del nazismo

Tanto per parafrasare il brano musicale che accompagnò le Olimpiadi di Barcellona del 1992, si potrebbe dire che lo sport rende davvero “amigos para siempre”. Una visione forse troppo ottimistica ma che, senza dubbio, si attaglia a quello che è lo spirito olimpico in base al quale, in qualche modo, gli imminenti dialoghi “ad alto livello” fra Pyongyang e Seul si articoleranno. La complessa situazione nordcoreana, connessa al programma nucleare di Kim e al duello a distanza con gli Stati Uniti, potrebbe essere messo da parte in nome di quell'aspetto della società che, indifferentemente, unisce ogni persona senza distinzioni di classe o di etnia. Tantomeno di schieramento politico. Di esempi se ne potrebbero fare molti, a cominciare dalle Olimpiadi del 1936 quando, in una Berlino già forgiata dal pensiero nazionalsocialista, Jesse Owens, atleta di colore, impose la sua schiacciante superiorità nell'atletica leggera portandosi a casa 4 medaglie d'oro. Ma, ancora più delle imprese sportive del velocista afroamericano, a passare alla storia fu la sua amicizia con il fuoriclasse tedesco Luz Long, nata proprio durante la manifestazione. La sportività dell'atleta teutonico, che suggerì al giovane americano di arretrare la sua rincorsa nel salto il lungo dopo due nulli di fila (avviando la strada del rivale verso la vittoria della gara), contribuì a edificare l'immagine dello sport come strumento di fratellanza e rispetto. Long morì giovanissimo, durante la Seconda guerra mondiale: la foto che lo ritrae assieme a Owens, però, è sopravvissuta fino a noi, come emblema di sportività e amicizia.

La diplomazia del ping pong

Al di là delle Olimpiadi, però, la diplomazia sportiva ha saputo imporre la propria “autorità” anche in altre manifestazioni (ma anche fuori), abbattendo in alcune occasioni i muri socio-ideologici emersi dopo la fine della Guerra: nel 1949, ad esempio, dopo la presa del potere di Mao cessarono, di fatto, i rapporti fra Cina e Stati Uniti. Un gelo che, in piena guerra fredda, rimase pressoché intatto fino al 1972, quando Richard Nixon varcò i confini dello Stato visitando Pechino, Hangzouh e Shanghai. Appena un anno prima, però, la via della distensione era stata aperta da un invito che, nonostante la non elevata rilevanza internazionale della disciplina in questione, assunse contorni di epicità: quello della Federazione cinese del tennistavolo alla gemella americana, in quei giorni in visita in Giappone, per partecipare a un torneo previsto nella Repubblica popolare di lì a qualche giorno. Leggenda vuole che, a favorire quell'invito, fosse stato un incontro casuale fra l'americano Glenn Cowan e il cinese Chuang Tse-tung, entrambi fuoriclasse del ping pong. Una sorta di “preludio sportivo” che preparò il terreno al viaggio presidenziale e che passò alla storia come “la diplomazia del ping pong”. 

L'incontro al di qua del muro

Parlando di muri, quello eretto nella città di Berlino assunse aspetti ben più che ideologici: una barriera di pietre e mattoni che squarciò la Germania post-bellica e scisse definitivamente un Paese ridotto socialmente in macerie. Il muro, fisicamente invalicabile e idealmente corrispondente al tracciante della Cortina di ferro, rimase tale fino al 1974 quando, in occasione dei Mondiali di calcio in Germania Ovest, sorte volle che, nello stesso girone, fossero inserite le selezioni nazionali dei fortissimi padroni di casa e degli esordienti della Repubblica democratica tedesca. Quella al Volksparkstadion di Amburgo fu la prima e unica volta che le due formazioni incrociarono le loro strade: un evento reso leggendario dalla foto che immortala la stretta di mano fra Bernd Bransch e Franz Beckenabuer, i due capitani, e dalla rete di Jurgen Sparwasser che decise la gara in favore della rappresentativa dell'Est. Un risultato clamoroso che, in un clima di sofferenza ed estrema difficoltà sociale, contribuì a regalare ai cittadini della Ddr un momento di gloria non solo sportiva.

Il miracolo sul ghiaccio

Giusto qualche mese prima della storica diserzione dei Giochi di Mosca del 1980 dovuta all'invasione sovietica dell'Afghanistan, gli Stati Uniti organizzarono le Olimpiadi invernali di Lake Placid, in un clima ancora di forte tensione fra i due blocchi. Una manifestazione passata alla storia per l'incredibile impresa della giovanissima nazionale statunitense di hockey sul ghiaccio che, in una partita diventata leggendaria, riuscì a imporsi sulla fortissima squadra dell'Urss, composta da alcuni dei migliori giocatori al mondo della disciplina. Il confronto, che spense le ambizioni sovietiche di riportare una grande affermazione in terra Usa contribuì, al contrario, ad aprire le porte della Nhl ai giocatori provenienti dal blocco avversario che, sempre più di frequente, iniziarono ad apparire nel massimo campionato americano. Il grande successo della squadra guidata da Herb Brooks e capitanata dal giovane Mike Eruzione si inserì nel pantheon dello sport americano come il “Miracolo sul ghiaccio”: una locuzione che, certamente, si riferisce alla straordinaria vittoria contropronostico ma, a ben vedere, anche al piccolo contributo che offrì alla diplomazia fra i due Paesi il quale, per ironia della sorte, sarà vanificato dal doppio boicottaggio reciproco nelle due successive Olimpiadi estive, a Mosca prima e a Los Angeles poi. Un epilogo che, stavolta, la storia non può permettersi di ripetere.