Judoka iraniano fugge in Germania: “Ho paura di tornare”

Quando politica e sport s'incontrano spesso non portano a niente di buono. Il risultato può essere una vita rovinata. Un campione, non per numero di medaglia ma per fibra morale, si piega non si spezza. Continua la gara finché non avrà vinto o cadrà a terra esausto. Come Saeid Mollaei, che ha dovuto affrontare un rivale ben più temibile di un lottatore sul tatami. Il suo nemico è il suo paese, l'Iran, che lo ha minacciato più volte se non fosse ritirato dai Mondiali di judo in Giappone. Il detentore del titolo del 2018 avrebbe potuto incontrare un atleta israeliano in lizza per il torneo, ma una legge iraniana non scritta vieta ai suoi sportivi di gareggiare contro quelli di Israele. Mollaei non ha ceduto alle pressioni ed ha vinto un combattimento dopo l'altro, uscendo sconfitto in semifinale anche per colpa della tensione e della paura per la sua vita e quella della sua famiglia. Poi, con l'aiuto della Federazione internazionale di judo è fuggito in Germania. 

La prima minaccia

Il dramma per il campione del mondo nella categoria 81 chilogrammi in carica inizia alle15:30 (ora giapponese) di sabato 28 agosto a Tokyo, quando sta per salire sul tatami per affrontare la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, il russo Khasan Khalmurzhaev. Lo racconta la un lungo articolo sul sito dell'Ijf, ripreso anche dalla televisione inglese Bbc. Pochi minuti prima dell'incontro il suo allenatore riceve una telefonata dal viceministro dello Sport iraniano Davar Zani, che vuole che Mollaei perda il match per non correre il rischio di doversi trovare contro l'israeliano Sagi Muki. Accompagna inoltre la richiesta con una minaccia rivolta all'atleta e una alla sua famiglia. Quando il judoka viene lo viene a sapere, prima di iniziare lo scontro, scoppia in lacrime e, atterrito, non sa cosa fare. Nella sua disperazione, viene aiutato dallo staff della federazione che lo fa ricevere dal presidente Marius Vizer. Dopo che l'iraniano gli ha raccontato tutto, quest'ultimo gli spiega che quella che deve prendere è la più importante decisione della sua vita. Ma può fare affidamento sui valori e sugli insegnamenti del judo, per scegliere. Seppur sottoposto a un'enorme pressione, Moallei sale sul tappeto e combatte contro l'iridato, vincendo. Supera gli ottavi e arriva ai quarti, vince di nuovo e raggiunge la semifinale contro il belga Matthias Casse. Se avesse vinto, era pressoché sicuro che avrebbe combattuto Muki in finale, proprio quello che il suo paese non voleva. 

Gli agenti a casa

Nei giorni tra le gare Mollaei si muove scortato dal personale dell'Ijf che cerca di rassicurarlo e di sollevarlo dai problemi. Un membro dell'ambasciata iraniana cerca di avvicinarlo per ricordargli quello che il suo paese gli ha chiesto e l'eventuale prezzo da pagare. Il peso della paura e dell'angoscia è diventato troppo pesante anche per lui, e il colpo del ko arriva quasi allo scoccare della semifinale. Un'altra telefonata all'allenatore, stavolta da parte del presidente del Comitato olimpico iraniano Reza Salehi Amiri, che viene fatta ascoltare in vivavoce e in video-chiamata all'atleta. Agenti della Guardia nazionale sono a casa dei suoi genitori, gli dice Amiri. Per quante energie mentali un campione possa avere, stavolta Mollaei non ce la fa e viene sconfitto da Casse. Quest'ultimo poi perderà in finale contro Muki.

L'esilio

In un'intervista esclusiva ai media della Federazione, Mollaei si è aperto e ha raccontato la sua ambizione, la sua delusione e la sua paura. “Ho fatto tanti sforzi per questa finale. Ho sognato questo titolo. Oggi il Comitato olimpico dell'Iran e il ministro dello Sport mi hanno detto che non posso competere. Io sono un lottatore, vivo di competizione, ma ho paura delle conseguenze per me e la mia famiglia. Mi sono sentito perso e impaurito”. Non si fida delle rassicurazioni delle autorità del paese che gli hanno detto di tornar senza timore. Mollaei si deve infliggere un esilio volontario in Germania, a Berlino, perché la sua vita è in pericolo. Questa non è una gara, è la vita vera. Ma un campione non molla, resta in piedi finché può e il judoka iraniano proverà a partecipare ad altre competizioni, se si trova la formula adatta. Il presidente dell'Ijf Vizer è al lavoro per trovare la soluzione: “Difendiamo l'integrità e dello sport e dei suoi valori come veicolo d'amicizia, pace e unità“.