Imparare la filosofia dalla corsa

La fatica non è mai sprecata” soleva ripetere Pietro Mennea. E così accade che lo sport, più di altre attività umane, possa indurci a riflettere sulle caratteristiche dell'esistenza. Ne è convinto Luca Grion, Professore associato di Filosofia Morale presso l'Università degli studi di Udine, presidente dell'Istituto Jacques Maritain e direttore della rivista di filosofia Anthropologica. Podista amatore, per Grion la corsa è l'occasione per soffermarsi a pensare a se stessi, ai limiti certo, ma anche ai traguardi che si ottengono puntando a quello che lui stesso chiama “bene arduo”. In un mondo sempre più dominato da una visione economico-commerciale dello sport, egli ne sonda il potenziale umano, che può insegnare ai bambini tanto quanto agli adulti. Grion ha deciso di mettere nero su bianco le sue riflessioni da filosofo-podista nel libro “La filosofia del running spiegata a passo di corsa” edito da Mimesis Edizioni: Perché correre? Cosa possiamo imparare dai chilometri che ogni giorno percorriamo sotto la pioggia o alle prime luci del mattino? A In Terris Luca Grion ha provato a dare una risposta a questi e altri interrogrativi, per una riflessione che riguarda il nostro stare al mondo.

Luca, come sei arrivato a studiare filosofia morale?
“Fin da adolescente, ero sempre molto curioso rispetto alla domanda di senso Perché vivere? Che senso ha la vita? e nella filosofia cercavo queste risposte. Inizialmente, queste domande sono state deluse – c'è stato un momento, nei primi anni dei miei studi, in cui pensavo che avrei fatto altro – perché ho incontrato erudizione e scetticismo davanti a queste domande che mi stavano a cuore. Ma poi, come spesso capita nella vita, ho trovato un insegnante speciale che è stato un po' il mio maestro: il compianto Prof. Paolo Gregoretti mi ha mostrato che si poteva stare in università in un modo diverso, serbando attenzione verso gli studenti, capace di assecondare le loro domande, e questo mi ha fatto crescere la voglia di essere un po' come lui. Per me lui è stato l'esempio concreto di come l'università possa essere luogo di incontro e di crescita e non solo rifugio per ego ipertrofici e teatro di sterili rivalità. Questo ha, senz'altro, fatto emergere in me la vocazione di fare ricerca in un certo modo”.

Dove hai studiato?
“Ho studiato a Trieste e in seguito mi sono legato al gruppo dei filosofi che a Venezia ruota attorno alla figura del professore Carmelo Vigna: tradizione metafisica classica come impostazione”.

Anche se poi, con l'Istituto Jacques Maritain, siete in giro un pò ovunque in Italia…
“Diciamo che in Italia ci sono diverse realtà che si richiamano all'eredità del filosofo Maritain e con loro proviamo a creare alcune sinergie. L'Istituto opera soprattutto a nord-est, con base a Trieste e lavoriamo in Friuli Venezia-Giulia, ma poi attorno ad Anthropologica, la rivista che abbiamo fondato, è nato un gruppo di giovani ricercatori che, pur lavorando in realtà diverse, cercano di lavorare e pensare assieme e mettere nero su bianco le loro riflessioni. Per esempio, siamo stati anche a Matera, con una summer school organizzata da un centro studi di Potenza al quale siamo legati da un vincolo di amicizia. Per cui, proviamo a pensare insieme a fare qualcosa”.

Tu sei friulano e hai scelto di vivere in Friuli. Quanto è importante il luogo? 
“Il luogo fa parte della nostra storia e identità. Che sia il luogo di nascita, di formazione o anche il luogo che ci è familiare, tutto questo serve a riconoscere le nostre radici. Quanto più sono salde le radici, tanto più sappiamo allontanarci senza perdere la nostra identità e quindi riusciamo ad apprezzare paesaggi diversi. Quello del paesaggio credo sia un insegnamento importante: riconoscere ciò che è parte della nostra storia e della nostra identità alimenta la curiosità di conoscere paesaggi diversi senza la paura di perdersi”.

A proposito di identità, con l' Istituto Maritain lavori per l'impegno politico. Noti delle differenze tra l'impegno politico di oggi e quello dei tuoi anni?
“Diciamo che ogni tempo ha le sue sfide e caratteristiche: ci sono, cioè, alcune costanti dell'umano, ma poi ogni stagione politica ha le sue peculiarità. Noi viviamo una stagione che molti descrivono di 'disimpegno'. La mia percezione, invece, è che i ragazzi stiano ricercando forme di impegno adeguate ai tempi e che vivano un senso di delusione o di scarsa fiducia rispetto alle forme che hanno ereditato dai genitori. Al fondo, cioè, c'è una scarsa credibilità verso gli adulti che costringe i giovani a ripensarsi. Però i ragazzi ci sono sui problemi, se vengono attivati. Noi adulti dovremmo dare loro più fiducia, invece che sottolinearne i limiti”.

Passando in rassegna i tuoi studi sino alla tua passione per lo sport, emerge la parola “conflitto”. Come affronti il conflitto nel quotidiano?
“Il conflitto è una dimensione fisiologica dell'umano. Pensa solo all'esperienza matrimoniale: è un'esperienza di conflitto, perché mettere insieme due persone diverse crea inevitabilmente frizione e attriti. La diversità è sempre generatrice di conflitti. Il problema è come li affrontiamo. Quello che io cerco di fare, sia a livello teorico che formativo ed esperienziale, è allenarmi ad attraversare i conflitti in modo generativo. Risolvere i conflitti in modo generativo significa costruire qualcosa di buono nel nuovo, evitando che il conflitto degeneri in guerra. Credo che questa sia la grande sfida: attraversare le frizioni che scaturiscono dalle differenze, riuscendo ad alimentare sempre la nostra capacità di creare qualcosa di nuovo e di buono. L'esperienza di coppia che ho citato prima lo dimostra: è faticoso, ma se noi la affrontiamo positivamente, riusciamo a costruire vite che sono cariche di senso e che, pur nella loro fatica, ci danno soddisfazione”.

Mi viene in mente un parola, oggi molto di moda, cioè “resilienza”…
Resilienza è una parola in voga anche nella psicologia dello sport. Nella nostra tradizione abbiamo già una parola che nominava tale fenomeno: cioè fortezza. Se gardi ai nomi di molte società sportive, molte hanno la parola Fortitudo. La fortezza è una virtù che indica la nostra capacità di resistere alla fatica: quando noi mettiamo nel mirino un bene arduo, sappiamo che abbiamo bisogno di risorse interiori che ci consentano di resistere alla fatica che comporta conseguire quel risultato. La fortezza ci permette anche di rialzarci dopo una sconfitta, di non lasciarci abbattere dagli insuccessi che possono essere parte del processo di costruzione del bene arduoResilienza Fortezza sono due parole che esprimono appieno la nostra capacità di attraversare i conflitti in modo positivo”.

Quanto ti ha aiutato la corsa nell'aver chiaro questo pensiero?
“Correndo mi sono accorto del 'gioco di specchi' tra lo sport e l'attività didattica. La mattina mentre correvo preparavo mentalmente le lezioni, quando andavo a lezione mi accorgevo di utilizzare lo sport per spiegare alcuni concetti. Tornare allo sport, mi serviva a capire quanto vivere il mio lavoro con maggior consapevolezza, quindi competenza. Il libretto che ho scritto è proprio pensato per appassionati che abbiano voglia di rifettere in modo più attento sulla loro passione, per capire qual è la lezione che possiamo apprendere se sappiamo ascoltare le cose che ci appassionano”.

Su Repubblica.it scrivi che “la dimensione dello sport è l'opposto della guerra”. Come vedi l'infiltrazione della pratica del doping nei contesti sportivi – come emerso dalla maxi-operazione “Viribus”? Non c'è nel doping la percezione dell'altro come un nemico?
“L'analisi del fenomeno sportivo può essere fatta con due approci diversi. Il primo approccio è sociologico, cioè fare una fotografia della realtà sportiva e provare a individuare le chiavi concettuali più adatte a descrivere il fenomeno. Chi parla dello sport come 'guerra' guarda allo sport come fenomeno storico, perché ha una genealogia legata al mondo bellico. Il secondo approccio è, invece, quello della filosofia, che ci chiede qual è la verità del fenomeno sportivo e qual è anche il valore che quel fenomeno può avere laddove riusciamo a svilupparlo nel modo corretto. La logica del gioco, in questo senso, è opposta a quella bellica nella consapevolezza che noi spesso tradiamo lo spirito del gioco”.

In che senso?
“Oggi lo sport presenta molti tradimenti: la commercializzazione, l'esasperazione dell'elemento promozionale ed economico, la frode, che rimandano a valori che non sono tipici del gioco e, anzi, contaminano il potenziale educativo che il gioco e lo sport potrebbero regalarci. Non si tratta di disconoscere i problemi, ma denunciare di ciò che il gioco potrebbe essere. In alcuni casi, c'è il rischio che la versione commercializzata sia presa a modello. Per questo, è necessario un lavoro culturale per rimettere al centro lo sport come palestra educativa. Oggi dobbiamo riconsiderare il ruolo che ha lo sport nella crescita personale di ciascuno. I nostri figli apprendono una lezione facendo sport, ma non è detto che in alcune realtà la lezione appresa sia quella che noi ci auguriamo: potrebbero, cioè, imparare che ci sono alcune cose che possono essere fatte o dette per portare a casa il risultato di una vittoria. Questo richiede consapevolezza e responsabilità da parte degli adulti”.

Il libro scritto da Luca Grion, “La filosofia del Running spiegata a passo di corsa” edito da Mimesis