Da Schaaf a Day: quando la tragedia è sul ring

Un grande ritorno trasformato in una tragedia. Quello del pugile Patrick Day è un dramma che lascia sconvolto il mondo dello sport, non solo quello della boxe. Perché è tutto il sistema sportivo a interrogarsi quando un giovane atleta perde la vita mentre pratica la propria disciplina, alla quale ha dedicato tempo, passione e sacrifici. Il boxeur americano, 27 anni, è morto dopo tre giorni di coma, dopo aver riportato una gravissima lesione cerebrale durante l'incontro con il connazionale Charles Conwell. Un gancio sinistro, terrificante, che ha mandato k.o. Day quando il match era arrivato al decimo round. E' apparso subito chiaro, però, come quello subito dal 27enne non fosse un semplice knockout tecnico: immediatamente soccorso, il giovane pugile è stato trasportato dalla Wintrust Arena di Chicago in ospedale, dove è stato sottoposto a un delicatissimo intervento chirurgico, insufficiente tuttavia a salvargli la vita.

I precedenti

A dare la notizia della morte di Pat è stato il promoter Lou DiBella, il quale ha ringraziato tutti per il sostegno mostrato al pugile e ai suoi familiari: “A nome della famiglia, della squadra di Patrick e delle persone a lui più vicine, siamo grati per le preghiere e le espressioni di sostegno e amore”. C'è però un dramma di fondo che, ogni volta, torna a martoriare quanti vedono nella boxe uno sport che troppo espone i suoi atleti ai pericoli dati dai colpi subiti. Day, solo dall'inizio dell'anno, è già il quarto pugile a morire sul ring (prima di lui Maxim Dadashev, Hugo Santillan e Boris Stanchov) ma la storia del pugilato è piena di esempi tragici in tal senso, fin dagli albori della disciplina. Capitò anche all'ex campione del mondo Primo Carnera, nel 1933, di essere incolpevole spettatore, durante un incontro, della morte del suo rivale. Ernie Schaaf era tutt'altro che un pugile inesperto ma il dritto sinistro del gigante di Sequals lo portò a un coma dal quale non si riprese più, provocando nel futuro campione una seria forma di depressione. In realtà, su quel ring Schaaf non avrebbe dovuto salirci, date le sue condizioni date come estremamente precarie dopo un precedente incontro con un altro campione del mondo come Max Baer. E fu proprio il pugile di Omaha che, con uno dei suoi micidiali ganci, provocò involontariamente la morte di Frankie Campbell nell'agosto del '30.

Un dubbio insoluto

Ma anche in tempi più recenti l'attenzione sulla violenza della boxe è stata alta. Qualche regola, la Federazione provò a cambiarla dopo la tragedia di Angelo Jacopucci, deceduto dopo il match di Bellaria contro l'inglese Alan Minter nel 1978, probabilmente come conseguenza dei fortissimi colpi ricevuti. Più o meno quanto accadde a Fabrizio De Chiara nel 1996, dopo un incontro ad Avenza con Vincenzo Imparato. E sarebbe accaduto ancora, così come era già successo prima, per un totale tuttora indefinito di morti sul ring. Un dubbio atavico che, ogni volta, torna a dividere.