Ayrton Senna, il campione di tutti

Pare che quel giorno, a Imola, nell'abitacolo della Williams di Ayrton Senna ci fosse una bandiera austriaca. Lui, brasiliano, amatissimo dai suoi connazionali e innamorato del suo Paese, scelse di portare con sé il bianco e rosso dell'Austria piuttosto che il Globo celeste dell'Ordem e Progresso. Lo avrebbe tirato fuori in caso di vittoria, per onorare la memoria di Roland Ratzenberger, ucciso da un impatto devastante sul muretto tra la Tamburello e la Villeneuve del circuito italiano solo il giorno prima. Un lutto che aveva colpito tutti in quel 30 aprile, quando la sua Simtek si era schiantata a oltre 300 all'ora, gettando la Formula 1 in un clima di sconforto che non si provava dalla morte di Gilles Villeneuve. Niente di strano che Senna, Magic, sensibile con gli uomini quanto con le macchine, piegò il vessillo austriaco e lo mise in vettura con sé: la vittoria sarebbe stata per lui, per lo sfortunato collega. E di vittoria doveva trattarsi. Perché Senna era fatto così: lui in pista andava non solo per il podio ma per cercare l'equilibrio perfetto fra pilota e vettura, quel bilanciamento reciproco di cui, una volta trovato, la vittoria sarebbe stata conseguenza naturale. Quasi un dettaglio, rispetto alla fine arte della filosofia in pista.

L'ultimo regalo

Quella domenica, 1 maggio 1994, non pioveva. Eppure, il cielo sopra Imola fu spettatore impotente di tutte quelle lacrime che chiunque, lì sotto, credeva di aver già pianto per Ratzenberger. Senna e la sua macchina si schiantano sul muro, quasi nello stesso punto. Con lui c'era anche la bandiera. Nella tragedia che fu, quasi consola pensare come, idealmente, quel simbolo se ne sia andato con lui, pronto per essere consegnato all'amico, la matricola che aveva realizzato il suo sogno a 34 anni. Fu l'ultimo gesto di Senna prima di entrare nella leggenda, l'ultimo regalo, un dettaglio che da il peso dell'uomo e del campione, in pista e fuori come se non cambiasse nulla. Fosse stato per lui non si sarebbe nemmeno corso quel giorno ma, visto che così non era stato, tanto valeva vincerla quella gara e fare qualcosa che, forse, prima non aveva mai fatto: mettere da parte l'asse perfetto tra cuore e motore per lasciare spazio a un'altra motivazione, altrettanto profonda. Forse anche di più.

Il più grande

Venticinque anni. Tanti ma non tantissimi. Comunque mai abbastanza. Tutto vero quello che si è detto e si è scritto dopo: Senna l'uomo, Senna il pilota, Senna il fuoriclasse e il gentiluomo. Vera anche la sua storia in pista: Senna e Prost, nemici-amici; la vittoria senza marce a Interlagos, a casa sua, dove salì a stento sul podio, divorato dai crampi e senza fiato per gli urli di gioia e di dolore insieme; il capolavoro in rimonta a Donington Park nel '93, sotto il diluvio, un'impresa che è forse la migliore nella storia di questo sport. Basta citare questo, solo il “clou”, quello che tutti conoscono dell'Ayrton pilota. Anche il resto è storia ma è più roba da appassionati. E' quello che tutti percepiamo di lui che conta, anche per chi non lo ricorda o non lo ha mai visto correre: lui rientra in quella ristretta cerchia di miti sportivi capaci di unire solo al pronunciarne il nome. Un uomo semplice che diventa grande: quasi una favola, quella che tutti sognano. E che attraverso Senna di tutti diventa.