Sant’Andrea Bobola: ecco chi era il “cacciatore di anime”

La Chiesa ama ricordare il martire Sant’Andrea Bobola come modello di fede cattolica e di cristiana fortezza. Nato nel 1591 a Strachocina nella regione di Sandomir (Polonia) da una famiglia nobile e fervente cattolica, riceve l’educazione a casa, come è d’uso in quel tempo alle persone del suo lignaggio. Cresciuto, frequenta con profitto le scuole della Compagnia di Gesù dove si distingue per la sua spiccata intelligenza e per l’esercizio della carità nei confronti di Dio e del prossimo. Sentendo di volersi consacrare interamente a Dio, a 19 anni decide di entrare come novizio tra i gesuiti di Vilnius (ora capitale della Lituania). Pio XII racconta che Andrea Bobola lavora interiormente sulla virtù dell’umiltà, ma “essendo di natura sua orgoglioso, impaziente e alquanto pertinace, dovette combattere una dura battaglia contro se stesso e ascendere il monte Calvario carico quasi della croce, per giungere al vertice di tale virtù, e poter finalmente, col soffio e il sostegno della divina grazia, che chiedeva con assidue e fervidissime preghiere, impadronirsi degli ornamenti della perfezione cristiana, secondo il sapientissimo detto di san Bernardo: ‘L’edificio spirituale non può reggersi in alcun modo, se non sullo stabile fondamento dell’umiltà’”.

Per quanto gli è possibile sosta in preghiera parecchie ore davanti al tabernacolo. Si dedica con molto impegno anche all’apostolato al fine di conservare, promuovere e difendere la fede cattolica. Chiamato a insegnare in collegio ai giovani, dapprima a Vilnius e poi in altre città, ne cura l’educazione ai principi della dottrina cristiana, al culto dell’Eucaristia e alla venerazione per la Vergine Maria. Diventa sacerdote nel 1622, lo stesso giorno in cui a Roma avviene la canonizzazione di Sant’Ignazio di Loyola e San Francesco Saverio. Successivamente pronuncia i voti solenni, diventa direttore della Congregazione Mariana e viene eletto superiore a Bobruik. Nelle terribili pestilenze che in quegli anni si diffondono a più riprese generando numerosi morti anche tra i suoi confratelli, soccorre e assiste tanti malati. Abile e ispirato predicatore, preparatissimo a livello teologico, non si risparmia né nell’attività missionaria, né nelle opere a favore dei fratelli. A causa di queste sue innegabili doti viene inviato dai superiori nei territori orientali, ossia in Lituania. Quella parte d’Europa è dilaniata dalle controversie religiose e calpestata dagli eserciti invasori. La capacità di Sant’Andrea di convertire e di far tornare alla vera fede tanti fedeli gli fa guadagnare il titolo di “cacciatore di anime”. Un gesuita vicino a Sant’Andrea testimonia che in lui la parola di Dio è “un fulmine che inceneriva i cuori dei peccatori”.

Nel XVII secolo si scatena una terribile persecuzione contro la religione cattolica da parte dei cosacchi che assalgono i fedeli, distruggono chiese e conventi, commettono profanazioni ed efferati omicidi. Il 16 maggio 1657, festa dell’Ascensione del Signore, in un agguato notturno una compagnia cosacca intercetta la sua carrozza presso Janów Poleski (Bielorussia) subito dopo aver celebrato Messa. Sant’Andrea, prima di venir catturato, si inginocchia nella strada e, alzando occhi e mani al cielo, si rivolge a Dio dicendo: “Sia fatta la tua volontà”. Preso a schiaffi, bastonate e sciabolate, viene trascinato con una fune da un cavallo lungo un aspro sentiero. Alla domanda dei suoi aguzzini se sia o meno un presbitero latino risponde senza tentennamenti: “Sono sacerdote cattolico; nato nella fede cattolica, nella stessa fede voglio morire; la mia fede è vera e porta alla salvezza; voi piuttosto fate penitenza, altrimenti coi vostri errori non vi potrete in nessun modo salvare; mentre se abbraccerete la mia fede, conoscerete il vero Dio e salverete le anime vostre”.

A quel punto il Santo subisce innumerevoli torture inflitte con una ferocia inaudita alle quali risponde come “agnello condotto al macello” invocando continuamente i nomi di Gesù e Maria. Infine, alle tre del pomeriggio, approda alla Gerusalemme Celeste conseguendo la gloria del martirio. Beatificato nel 1853 da Pio IX, diviene santo nel 1938 canonizzato da Pio XI. Pio XII, che in occasione del terzo centenario del suo estremo sacrificio gli dedica interamente l’enciclica “Invicti Athletae Christi”, esorta tutti i fedeli affinché “considerino come esemplare la fortezza di animo del santo martire Andrea Bobola; conservino intatta la sua stessa fede e la difendano con tutte le forze; imitino il suo zelo apostolico, adoperandosi in tutte le maniere per consolidare il regno di Gesù Cristo sulla terra e per estenderlo ciascuno secondo la propria condizione”.