San Vincenzo de’ Paoli, l’uomo che si convertì scoprendo gli ultimi

Tutto il suo cammino di vita e di fede è contraddistinto dalla carità e dall’assistenza a poveri e malati. La sua conversione avviene attraverso la scoperta degli ultimi, di quanti vivevano nell’estrema indigenza a causa della fame, della guerra e della peste. Non a caso è tra i santi più invocati in questo periodo di grave pandemia mondiale. È Vincent de Paul, conosciuto col nome di San Vincenzo de’ Paoli, autentico apostolo della carità che, alla pari di San Camillo de Lellis e San Giovanni di Dio ha realizzato strutture di ricovero e cura anticipando quelli che sarebbero divenuti i moderni ospedali.

Nato nel 1581 in un piccolo paese della Guascogna, in Francia, trascorre l’adolescenza a fare il contadino. Un benefattore nota la sua intelligenza e gli offre la possibilità di studiare tanto che a soli 19 anni è già sacerdote e 4 anni dopo si laurea in teologia. Apre una scuola privata per cercare di risollevare l’economia della sua famiglia che versa in ristrettezze, ma contrae molti debiti. Durante un viaggio in nave viene catturato da un gruppo di pirati e venduto come schiavo a Tunisi. Riesce a liberarsi solo due anni più tardi e torna in Francia grazie al suo terzo padrone, che nel frattempo si è convertito al cristianesimo. Nel suo Paese diventa parroco, precettore dei figli dei marchesi di Gondi, inizia ad occuparsi degli infermi e dei poveri oltre a dedicarsi all’insegnamento del catechismo. “Non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama”, afferma. Incontra Francesco di Sales che si prende cura della sua direzione spirituale. Gradualmente San Vincenzo prende coscienza e viene sconvolto dalla miseria dei contadini, soprattutto per la condizione di inferiorità materiale, sociale, culturale e morale cui sono costrette a versare amplissime fasce della popolazione.

Da parroco assiste una famiglia ammalata che non ha da mangiare. Organizza un’efficiente rete di solidarietà tra i parrocchiani per non far mancare loro il necessario, ma si rende conto che per dare continuità a questa azione anche nel futuro – a favore di questa e anche di altre famiglie bisognose – è necessaria una realtà più strutturata. Per tale motivo crea la prima cellula della carità vincenziana: a occuparsene è un gruppo di donne, soprannominate le Serve dei poveri, che ottengono l’approvazione del vescovo di Lione. San Vincenzo comprende che è l’amore a muovere tutte le cose e ha scelto di dedicarsi interamente a questo: trasmettere agli altri almeno un po’ di quell’amore con cui sente di essere profondamente amato da Dio. Un suo grande merito è di aver capovolto l’atteggiamento allora prevalente nei confronti dei poveri, che era di allontanamento ed emarginazione, per andarne in cerca e soccorrerli attraverso l’aiuto e la collaborazione di quanti più fosse possibile, ispirandosi alla carità evangelica.

A Parigi trova un gruppo di nobildonne desiderose di prodigarsi nella beneficienza e contribuire economicamente alle sue opere. Nascono così le Dame della Carità (che nelle loro fila annoverano addirittura la futura regina di Polonia) che realizzano un ospedale cittadino. San Vincenzo fonda poi una Congregazione femminile molto innovativa per l’epoca, le Figlie della Carità, con il compito di compiere quelle attività più umili di cui le Dame non si possono occupare per la loro posizione sociale. Sono suore votate sia alla contemplazione sia all’apostolato attivo. “Voi – sottolinea San Vincenzo – avrete per monastero la camera dei malati; per cella una camera d’affitto; per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città; per clausura l’obbedienza; per grata il timore di Dio; per velo la santa modestia”. E ancora: “Voi dovete fare ciò che il Figlio di Dio ha fatto sulla terra. Voi dovete donare la vostra vita ai poveri ammalati, la vita del corpo e la vita dell’anima”. Il santo spiega l’importanza di impegnarsi in favore degli indigenti perché in molti “si lusingano con la loro immaginazione eccitata, si contentano delle soavi conversazioni che hanno con Dio nell’orazione, ne parlano anzi come angeli; ma, usciti di lì, se si tratta di lavorare per Iddio, di soffrire, di mortificarsi, di istruire i poveri, di andare a cercare la pecorella smarrita, di essere lieti se sono privi di qualche cosa, di accettare le malattie o qualche altra disgrazia, ahimè, non c’è più nulla, il coraggio manca”.

San Vincenzo è sensibile anche al tema della formazione e della fraternità del clero fondando la Congregazione della Missione, più tardi detta dei Lazzaristi. Tra i loro impegni l’assistenza spirituale dei galeotti, l’insegnamento del catechismo e le “conferenze del martedì”, ossia incontri in cui i sacerdoti raccontano le proprie esperienze di apostolato attivo e stimolano vicendevolmente le loro vocazioni alla santità. San Vincenzo è il paladino di una carità che non distingue tra l’amore verso Dio e gli altri. Anzi, vede nel povero la persona di Cristo. È una spiritualità che si fonda sulla coincidenza tra preghiera e azione, un impegno che si concretizza nell’evangelizzazione come nella promozione umana. Le virtù caratteristiche dello spirito vincenziano sono le “cinque pietre di Davide”: semplicità, umiltà, dolcezza nei confronti del prossimo, mortificazione e zelo per la salvezza delle anime. Il messaggio che il santo patrono di tutte le associazioni cattoliche di carità continua ancora a trasmettere dopo 400 anni in ogni parte del globo è sempre attuale e chiama ogni cristiano a sporcarsi le mani: “Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto”.