San Massimiliano Kolbe: “patrono del nostro difficile secolo”

Rimettiti in tutto alla Divina Provvidenza attraverso l’Immacolata e non preoccuparti di nulla”. Sono le parole di affidamento a Dio che Padre Massimiliano Kolbe, il martire che Giovanni Paolo II ha definito “patrono del nostro difficile secolo”, amava ripetere a chi era in affanno. Nato a Zdunska-Wola (Polonia) nel 1894 e battezzato col nome di Raimondo, proviene da una famiglia di ferventi cristiani. Il padre fa il tessitore, la madre è una levatrice.

Ben presto Raimondo sente i segni della vocazione religiosa e sacerdotale e nel 1907 va a studiare nel seminario dei Frati minori conventuali di Leopoli. Animato sempre da un forte ottimismo, di fronte ai problemi ripete: “La prossima volta tutto andrà meglio”. Tre anni dopo inizia il noviziato e prosegue la sua formazione trasferendosi a Roma. Emette la professione solenne nel 1914 col nome di Massimiliano Maria e consegue la laurea in filosofia e in teologia. Si dedica alla contemplazione del mistero di Cristo e viene ordinato sacerdote nel 1918.

A Roma, mentre gioca a palla in aperta campagna, comincia a perdere sangue dalla bocca: è tubercolosi. La malattia l’accompagnerà per tutta la vita. Fonda la “Milizia di Maria Immacolata”, associazione religiosa che si adopera per la conversione di tutti gli uomini con l’intercessione della Vergine. Il suo motto è “rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata”. “Chi ha Maria per madre, ha Cristo per fratello”, dice spesso per sottolineare l’importanza della devozione alla Madonna.

Tornato in Polonia realizza un giornale di poche pagine, “Il Cavaliere dell’Immacolata”, per “portare l’Immacolata nelle case, affinché le anime avvicinandosi a Maria ricevano la grazia della conversione e della santità”. Crea una piccola tipografia per la stampa del giornale: con questa iniziativa riesce ad attirare molti giovani, desiderosi di condividere uno stile di vita francescano ispirato a Maria. A chi gli fa notare l’ambivalenza dei mezzi di comunicazione che veicolano anche messaggi negativi, risponde: “Ragione di più per svegliarci e metterci all’opera per riconquistare le posizioni perdute”.

Intanto il giornale si diffonde sempre di più. A Varsavia, grazie alla donazione di un terreno da parte del conte Lubecki, fonda “Niepokalanów”, la ‘Città di Maria’. Il centro si sviluppa rapidamente: dalle prime capanne si passa a edifici veri e propri, la vecchia stampatrice viene sostituita dalle nuove tecniche di composizione e stampa. Fin dagli inizi Niepokalanów assume la fisionomia di una autentica “Fraternità francescana” per la preminenza data alla preghiera, la testimonianza di vita evangelica e l’impegno apostolico.

Padre Kolbe si reca anche in Giappone, dove fonda la “Città di Maria” a Nagasaki. Qui, dopo l’esplosione della prima bomba atomica, troveranno rifugio gli orfani di Nagasaki. Collabora con ebrei, protestanti e buddisti, certo che Dio sparge semi di verità in ogni religione. Apre una Casa anche ad Ernakulam, sulla costa occidentale dell’India. Per curare la sua malattia è costretto a tornare in Polonia a Niepokalanów.

In quel periodo circa 800 frati sono intenti alla redazione, alla stampa e alla diffusione di numerosi libri, opuscoli e periodici. Nel 1939 dopo l’invasione della Polonia i nazisti ordinano lo scioglimento di Niepokalanów. Ai religiosi costretti a lasciare il centro, San Massimiliano raccomanda una sola cosa: “Non dimenticate l’amore”. Restano circa 40 frati che trasformano la cittadina in un luogo di accoglienza per feriti, ammalati e profughi. Un’attività mal vista dagli occupanti che prelevano padre Kolbe e gli altri frati, portandoli in un campo di concentramento, da dove vengono inaspettatamente liberati quasi quattro mesi più tardi. “Siamo pronti a dare la vita per i nostri ideali”, afferma il Santo polacco che successivamente viene di nuovo imprigionato.

Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, è costretto a indossare un abito civile, perché il saio francescano “disturbava” i nazisti, e trasferito nel campo di sterminio di Auschwitz. La sua dignità di sacerdote incoraggia gli altri prigionieri. Un testimone ricorda: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”.

Si offre liberamente a prendere il posto di un fratello prigioniero – un padre di famiglia – condannato insieme ad altri nove per ingiusta rappresaglia, a morire di fame. Il 14 agosto 1941 le guardie decidono di abbreviare la loro agonia con un’iniezione di acido fenico. Un testimone racconta che San Massimiliano “porse lui stesso, con la preghiera sulle labbra, il braccio al carnefice” pronunciando le sue ultime due parole: “Ave Maria”.