San Giovanni Berchmans: ecco l’eredità che ha lasciato alla Chiesa

“Fai bene quello che stai facendo e rendi il massimo facendo le minime cose”. La frase che Giovanni Berchmans amava ripetere ricorda molto la “piccola via” di Teresina di Lisieux, Santa nata 250 anni dopo e salita al Cielo anch’essa in giovane età. San Giovanni nasce a Diest (Belgio) nel 1599 da un’umile famiglia impegnata nella concia delle pelli. Primo di cinque fratelli, ha un’indole gentile, intelligente e gioiosa. Quando ha 9 anni la madre è colpita da una lunga e grave malattia. Giovanni trascorre molto tempo al suo capezzale consolandola con parole affettuose.

Ma, poiché i genitori non riescono a occuparsi della sua educazione, viene prima affidato alle cure degli zii e poi messo in un pensionato. Fin da giovanissimo il Santo ha già le idee chiare: vuole diventare sacerdote. La mattina si alza presto per andare a servire due o tre Messe con grande devozione, spesso si reca in pellegrinaggio al santuario di Montaigu, a pochi chilometri da Diest, recitando e meditando il rosario durante il cammino. Più tardi dirà che per entrare effettivamente in relazione con Maria bastano anche cose piccole, però costanti (“quidquid minimun, dummodo constans”).

Inizia gli studi latini nella scuola di Diest, ma il poco denaro che ha a disposizione gli impedisce di continuare. Il padre, che non vede di buon occhio la sua vocazione, gli impone di imparare un mestiere. Il contatto con un figlio Santo, però, cambierà il cuore del genitore a tal punto che diverrà sacerdote lui stesso, dopo la morte della moglie, nel 1616.

Dinanzi alla scarsa disponibilità economica interviene la Provvidenza: Giovanni entra a servizio nella casa del canonico Froymont, a Malines, dove come istitutore si occupa anche di giovani ragazzi della nobiltà e così si guadagna il necessario per continuare a studiare. A quel tempo i Gesuiti aprono un collegio a Malines, proprio nel periodo in cui Giovanni è indeciso sulla forma da dare alla propria vocazione. Leggendo, per curiosità, la biografia di Luigi Gonzaga morto pochi anni prima, comprende dov’è che il Signore lo vuole ed entra nella Compagnia di Gesù.

Nel 1616, infatti, è accolto in noviziato e dopo due anni emette i voti perpetui. È un allievo eccezionale, che osserva alla perfezione le regole che gli vengono imposte e che allora erano diverse a seconda delle comunità. “La mia massima penitenza è la vita comune” (“mea maxima poenitentia vita communis”), è solito affermare. E ancora: “Amo farmi guidare come un bambino di un anno”. Al contempo, è in grado anche di accompagnare i suoi fratelli, tant’è che viene nominato prefetto di oltre un centinaio di novizi.

Successivamente viene mandato ad Anversa e poi a Roma dove studierà filosofia per due anni. Nella città eterna viene colto da una violenta febbre e muore il 13 agosto del 1621, a soli 22 anni. Viene seppellito a Roma nella chiesa della Compagnia, Sant’Ignazio di Loyola, mentre una reliquia del suo cuore si trova a Lovanio, nella chiesa gesuita di Saint-Michel.

L’eredità che lascia alla Chiesa nella sua breve parentesi di vita terrena è un messaggio di santità che passa attraverso l’allegria e la quotidianità. Non a caso, durante la permanenza in monastero si era guadagnato l’appellativo di “Frate Ilaro”. Il suo è un sano e schietto realismo spirituale originato dalle sue umili origini e coltivato nella scuola ascetica belga arricchita dagli insegnamenti ignaziani.

Esempio per tutti di come vivere gioiosamente nel Signore, ha avuto esperienze da mistico ed è stato toccato dalla grazia, ma quello che lo caratterizza di più è la profonda pietà verso il prossimo e un’ardente devozione verso l’Eucaristia e la Vergine Maria. Canonizzato da Leone XIII nel 1888, assieme ai Santi Stanislao Kotska e allo stesso Luigi Gonzaga, è patrono della gioventù studentesca.