Spiritualità

San Filippo Neri, il fondatore della Congregazione dell’Oratorio

San Filippo Neri, sacerdote e fondatore della Congregazione dell’Oratorio. Firenze, 21-07-1515, Roma 26-05-1595. Figlio di un notaio fiorentino, frequenta i Domenicani di San Marco.

Avvenimenti

  • All’età di 18 anni si trasferisce a Roma, dove vive diciassette anni come laico. Nel 1551 è ordinato sacerdote e va a vivere nel convitto ecclesiastico di San Girolamo.
  • Allo scopo di diffondere la fede cristiana nel popolo, nel 1548 riunisce quattordici compagni nella Congregazione dell’Oratorio, composta da sacerdoti secolari, e ricostruisce la chiesa di Santa Maria in Vallicella, che diviene la casa madre e che conserva le sue spoglie.
  • La sua Congregazione è composta da appartenenti a categorie diverse (laici, sacerdoti, poveri, ricchi) legati tra loro da una stretta amicizia e non da voti. Lo scopo spirituale dell’Oratorio è di abituare alla lettura delle Scritture e alla frequentazione dei sacramenti.
  • Molto amico dei papi (che lo venerano), rifiuta decisamente la porpora cardinalizia. Vede nella sua vita l’avvicendarsi di ben quattordici pontefici.
  • È molto conosciuto in tutta la città: notevole la sua influenza sui romani, indipendentemente dal loro ceto sociale. È uno dei patroni di Roma: il tempo non ha mai scalfito la sua grande popolarità.
  • Gregorio XIII riconosce ufficialmente la Congregazione dell’Oratorio nel 1575.
  • È l’ideatore della “visita alle sette chiese”: un itinerario di circa venti chilometri da percorrere a piedi, che viene compiuto in due giorni e durante il quale vengono visitate le più importanti chiese romane. Si tratta di una vera gita all’aria aperta, dove ognuno prega come meglio ritiene, canta in libertà e fruisce un gustoso pasto. Filippo, visto il grande successo della manifestazione, pensa di programmarla per il giorno del Giovedi Grasso, come un “anticarnevale”.
  • Nel 1594 un contrasto tra papa Clemente VIII e re Enrico IV rischia di far scoppiare uno scisma in Francia. Filippo si impegna per la riconciliazione: arriva a dire al suo fedele allievo, il Baronio, confessore del papa, di negargli l’assoluzione in caso il pontefice non si fosse impegnato in questo spirito di pacificazione. Enrico IV, riconoscendo l’importanza di Filippo nella risoluzione della crisi, si adopera per una rapida beatificazione e, una volta proclamato santo, lo designa tra i protettori della Francia.
  • Poco prima di morire getta alle fiamme, per umiltà, i suoi scritti spirituali.

Aneddoti

  • Viene chiamato “Pippo buono” dai monelli fiorentini, suoi compagni di gioco.
  • Nel 1544, mentre sta pregando nelle catacombe di San Sebastiano, una sfera di fuoco gli entra nella bocca e si localizza nel petto; sul fianco sinistro si forma una protuberanza delle dimensioni di un pugno.
  • A chi gli rimprovera il grande chiasso dei suoi giovani, è solito rispondere: «Purché non pecchino accetterei che mi spezzassero la legna sulla schiena!».
  • Si lamenta un giorno col Signore perché non sopporta una persona alquanto molesta e si sente rispondere: «Filippo, mi chiedi la pazienza, ecco il modo per acquistarla».
  • Ai giovani spesso dice: «Fortunati voi che avete ancora tanto tempo per fare il bene!».
  • Un cane di nome Capriccio viene col suo padrone da Filippo. Alla fine della visita il cane vuole a tutti i costi rimanere col Santo e vi rimane come fedele compagno per dodici anni.
  • Dice a Gregorio XIII, che gli offre la porpora cardinalizia, che gli sembra troppo essere prete, figurarsi essere cardinale. Il papa non si da per vinto e gli manda la berretta cardinalizia; Filippo, vedendo che è di lana, la utilizza per tenere caldo l’addome.
  • Clemente VIII gli ordina di toccare le sue mani dolenti per la gotta e all’istante guariscono. Da quel giorno ogni volta che il papa incontra Filippo gli bacia le mani di fronte a tutti.
  • Viene incaricato dal pontefice di valutare la reale santità di una suora che avrebbe delle estasi e delle rivelazioni divine. Il convento è fuori Roma e quel giorno c’è un forte temporale; padre Filippo vi giunge tutto infangato. Appena la suora arriva alla sua presenza, Filippo le chiede di togliergli gli stivali infangati, la suora rifiuta quasi indignata e il santo capisce che senza umiltà non ci può essere vera santità.
  • Una volta, vedendo che alcuni fedeli escono di chiesa subito dopo aver ricevuto la Comunione senza aver fatto il ringraziamento, manda loro due chierichetti con le candele accese per accompagnare il Santissimo che hanno appena ricevuto.
  • A volte durante la celebrazione della Messa il suo cuore palpita in modo così intenso da far tremare gli oggetti vicini.
  • Un giorno costringe un frate troppo presuntuoso della propria capacità oratoria a predicare senza la tonaca.
  • Impone come penitenza al Baronio (suo allievo e successore) di cantare il Miserere durante una festa di nozze.
  • A una madre, che gli chiede consigli per la figlia che crede santa perché spesso va in estasi, dice che forse sarebbe opportuno maritarla.
  • Per far capire a una donna solita a sparlare del prossimo la gravità morale del suo comportamento, le dà come penitenza il compito di spennare in un giorno ventoso, e mentre cammina per strada, una gallina morta e poi di raccogliere tutte le penne che sono volate via.
  • Arriva a fare stranezze per essere disprezzato da pontefici e alti prelati, specie se si recano da lui per ammirarlo: una guancia rasata, l’altra piena di barba. A volte li riceve tenendo un gatto sopra le ginocchia, al quale dedica maggiori attenzioni di quante ne riservi agli illustri personaggi venuti a ossequiarlo. Quando incontra per le vie di Roma il suo caro amico Felice da Cantalice, a volte, per farsi considerare dai presenti un povero ubriacone, gli si avvicina dietro le spalle e trangugia vino dalla borraccia che il santo cappuccino tiene sulla schiena.
  • Sisto V, sempre di fronte alla sua resistenza categorica ad accettare la porpora cardinalizia, afferma che, sebbene sia riuscito a far innalzare in piazza San Pietro l’obelisco di Caligola non è riuscito a convincere padre Filippo a diventare cardinale.
  • Gregorio XIV arriva a mettergli tra le mani la berretta cardinalizia, Filippo la getta in alto e dice: «Paradiso, Santità, Paradiso… È questo che conta!».
  • Il 16 marzo 1584 muore, dopo lunga malattia, il quattordicenne Paolo, figlio del principe Fabrizio Massimo; Filippo, che avrebbe dovuto assisterlo nel momento del trapasso, arriva a morte avvenuta. Entrato nella camera del defunto, comincia a chiamarlo come per destarlo dal sonno: tra lo stupore di tutti il piccolo Paolo apre gli occhi e comincia a parlare con don Filippo. Il Santo chiede al giovanetto se desideri morire e lui gli risponde di sì, perché vuole raggiungere in cielo la madre e la sorella; allora Filippo lo invita ad addormentarsi nella pace del Signore: così avviene. La camera del miracolo viene trasformata in cappella e può essere visitata nel giorno della ricorrenza dello straordinario avvenimento.
  • Sul letto di morte il medico gli prescrive un buon brodo e quando comincia a prenderne qualche sorso, s’interrompe bruscamente ed esclama: «Oh mio Gesù! Quanta differenza tra me e te! Tu fosti inchiodato sopra il duro legno della croce e io mi riposo in un comodo letto! Tu fosti abbeverato di aceto e di fiele e a me si prodigano delizie d’ogni genere! Intorno a te nemici che t’insultano, intorno a me tanti amici che mi consolano!».

Personalità

Sa unire alla semplicità la schiettezza e una costante giovialità.

Spiritualità

Sente così intensamente l’amore verso il Signore da gridargli: “Basta, basta”, non riuscendo più a contenerne tutto l’ardore. «Paradiso! Paradiso!», è solito urlare con gioia per le vie di Roma. Poggia la sua santità sul più umile disprezzo di se stesso: «Signore, tienimi ben forte una mano sulla testa perché Pippo può combinarne una delle sue». Realizza l’allegrezza interiore, avendo sempre il suo cuore nella letizia e nell’entusiasmo delle cose divine. È solito ripetere: “Godete nel Signore” e non riesce a capire come ci possa essere della tristezza in chi si sta dirigendo verso la gioia immensa del Paradiso. Propone il prevalere delle mortificazioni spirituali su quelle corporali e la semplicità evangelica. Fin da bambino è solito chiamare la Madonna col dolce nome di “Mamma mia” e spesso raccomanda: “Amate la Madonna,date alla Madre tutte le tenerezze di figli!”. Grande impegno nel ministero della Riconciliazione: tralascia immediatamente qualsiasi attività quando lo avvisano che c’è un penitente che l’aspetta. Ha una predilezione speciale per la gioventù: ripone in essa ogni speranza per l’avvenire. Per soccorrere i più bisognosi non esita a mendicare per le strade. Afferma che il distacco dai beni temporali è la fonte di ogni energia spirituale e  che se riuscisse a trovare una dozzina di seguaci veramente distaccati conquisterebbe il mondo intero.

Morte

Quando il cardinale Federico Borromeo gli porta il Viatico, alla vista dell’ostia emette un forte grido: «Questo è l’Amor mio! Datemelo subito!» e, quando il cardinale pronuncia: «Signore non sono degno!», Filippo esclama piangendo: «Non ho mai fatto niente di bene, niente, niente; mai, mai, non ne sono stato degno!». Alle 6:00 del mattino del 26 maggio 1595 padre Gallonio sente un rumore provenire dalla camera del Santo e capisce che sta entrando in agonia; chiama i confratelli e il Baronio gli dice: «Padre, volete lasciarci senza dirci nulla? Almeno dateci la vostra benedizione». Filippo solleva le palpebre e, con un estremo sforzo, alza la mano destra e traccia un segno di croce. Poi, poco dopo aver emesso un forte sospiro, si addormenta tra le braccia del Signore. I medici, sezionando la sua salma, trovano il cuore più grande del normale e due costole inclinate, come per far spazio a un organo veramente traboccante di amore per Dio e per i fratelli. Viene canonizzato nel 1622 da Gregorio XV.

Tratto dal libro “I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire” di Luigi Luzi

Luigi Luzi

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