San Cirillo d’Alessandria: ecco perché veniva chiamato il “custode dell’esattezza”

Cirillo nasce a Teodosia d’Egitto tra il 370 e il 380 d. C.. È nipote di Teofilo, che dal 385 è vescovo della diocesi d’Alessandria in Egitto. Sin da giovane riceve una buona educazione culturale e teologica e viene orientato verso il sacerdozio. Nell’anno 403 si reca a Costantinopoli con lo zio partecipando al Sinodo detto della Quercia, che ha come esito la deposizione del vescovo della città, Giovanni (detto più tardi Crisostomo), e segna il trionfo della sede alessandrina su quella, tradizionalmente rivale, di Costantinopoli, dove risiede l’imperatore. Alla morte dello zio Teofilo, Cirillo nel 412 viene eletto vescovo di Alessandria. Rimarrà pastore di questa diocesi per 32 anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma.

Si adopera per ricomporre la comunione con Costantinopoli, ma le diatribe si rinfocolano nel 428. In quell’anno, infatti, a Costantinopoli diventa vescovo Nestorio, che preferisce assegnare a Maria il titolo di “Madre di Cristo” (Christotókos), anziché quello di “Madre di Dio” (Theotókos). Prima e durante il Concilio di Efeso, la reazione di Cirillo non si fa attendere. Scrive, infatti, una lettera a Nestorio descrivendo con chiarezza la sua fede cristologica: “Affermiamo così che sono diverse le nature che si sono unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e Figlio” perché “divinità e umanità, riunite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il solo Signore e Cristo e Figlio”. Perciò, sottolinea il vescovo di Alessandria, “professeremo un solo Cristo e Signore”. Ottiene che Nestorio venga ripetutamente condannato, ma riesce a giungere, già nel 433, a una formula teologica di riconciliazione con gli antiocheni.

Per la sua attenzione e il suo rigore all’autentica dottrina cristiana, Cirillo sarà chiamato “custode dell’esattezza” – da intendersi come custode della vera fede – e addirittura “sigillo dei Padri”. In numerose occasioni esprime quanto sia fondamentale, per ogni pastore, l’impegno nel preservare la fede di ogni cristiano. Così spiega questa notevole responsabilità: “Bisogna esporre al popolo l’insegnamento e l’interpretazione della fede nel modo più irreprensibile e ricordare che chi scandalizza anche uno solo dei piccoli che credono in Cristo subirà un castigo intollerabile”. Sostiene che l’“oggi”, posto tra la prima e l’ultima venuta del Salvatore, è legato alla capacità del credente di ascoltare e ravvedersi. San Cirillo sottolinea, inoltre, l’importanza della comunione con Gesù, quel Verbo sceso tra gli uomini del quale afferma: “Lo vedi crocifisso e lo chiami re. Credi che colui che sopporta scherno e sofferenza giungerà alla gloria divina”. La stretta relazione con il Figlio di Dio genera un’intima trasformazione del fedele: “Cristo ci forma secondo la sua immagine in modo che i lineamenti della sua divina natura risplendano in noi attraverso la santificazione, la giustizia e la vita buona e conforme a virtù. La bellezza di questa immagine risplende in noi che siamo in Cristo, quando ci mostriamo uomini buoni nelle opere”.

Molte delle sue meditazioni e omelie sono dedicate alla materna mediazione di Maria alla quale si rivolge come in una preghiera: “Per te gli Apostoli annunziarono la salvezza delle genti… per te la Croce preziosa è lodata e adorata in tutto il mondo… per te sono volti in fuga i demòni, e l’uomo è richiamato al Cielo; per te ogni creatura, legata già all’errore degli idoli, è ricondotta alla conoscenza della verità; per te gli uomini fedeli pervennero al santo battesimo, e dovunque furono costituite le chiese”. San Cirillo, morto il 27 giugno del 444 e proclamato dottore della Chiesa da Leone XIII nel 1882, è stato definito da Benedetto XVI come “grande figura” dei Padri della Chiesa e “instancabile e fermo” testimone di Gesù Cristo, “Verbo di Dio incarnato”.