San Benedetto, la Regola e quell’identità alla base della civiltà europea

Ascolta, o figlio, gl’insegnamenti del maestro, e piega l’orecchio del tuo cuore; accogli volentieri i consigli dell’affettuoso padre e ponili vigorosamente in opera: perché tu possa per la fatica dell’obbedienza e ritornare a Colui dal quale ti eri allontanato per l’inerzia della disobbedienza. A te dunque si volge ora la mia parola, chiunque tu sia che rinunzi alle proprie voglie, e accingendoti a militare per il vero re Cristo Signore, prendi le validissime e lucenti armi dell’obbedienza”. Questo è l’inizio della Regola scritta da San Benedetto, nato a Norcia intorno al 480 d. C. e fratello di Santa Scolastica. È considerato una delle figure più importanti, dopo il declino della civiltà romana, per la nascita della cultura europea, un “astro luminoso” in un’epoca segnata da una grave crisi di valori.

Nasce da una nobile famiglia e si dedica assiduamente fin da giovane alla preghiera. Inviato dai genitori a Roma per compiere un adeguato ciclo di istruzione, resta sconvolto dalla vita dissoluta della città. “Ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia del mondo per non precipitare anche lui totalmente nell’immane precipizio. Disprezzò quindi gli studi letterari, abbandonò la casa e i beni paterni e volle far parte della vita monastica”, scrive San Gregorio Magno. Per questa ragione lascia Roma e giunge in una località, chiamata Enfide. Vive per tre anni, da eremita, in una grotta a Subiaco, destinata a divenire il cuore del monastero benedettino “Sacro Speco”. Questo periodo di solitudine precede un’altra fondamentale tappa del suo cammino: l’arrivo a Montecassino. Qui, tra le rovine di un’antica acropoli pagana, San Benedetto e alcuni suoi discepoli costruiscono la prima abbazia di Montecassino. Redige la Regola intorno al 530 d.C.. Si tratta di un manuale, un codice di preghiera per la vita monastica dallo stile molto semplice e familiare. San Benedetto esorta i monaci a “non disperare mai della misericordia di Dio”.

“Se vuoi possedere la vera ed eterna vita – scrive – frena la tua lingua dal male, e le tue labbra non proferiscano inganno; allontanati dal male e fa’ il bene; cerca la pace e seguila”. Per il Santo umbro la preghiera e il lavoro non sono in antitesi ma allacciano tra di loro un rapporto molto stretto: “ora et labora”. Senza preghiera, non è possibile l’incontro con Dio; al contempo la vita monastica, è “una scuola del servizio” di Dio e, in quanto tale, non può prescindere dall’impegno concreto. Il lavoro, perciò, risulta essere un’estensione della preghiera: “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”. San Benedetto è molto chiaro riguardo ai rischi che si corrono conducendo una vita inoperosa: “L’ozio è nemico dell’anima; è per questo che i fratelli devono, in determinate ore, dedicarsi al lavoro manuale, in altre invece, alla lettura dei libri contenenti la parola di Dio”.

San Benedetto e la sua Regola assumono un ruolo centrale nella sistematizzazione del monachesimo occidentale, fino ad allora privo di una sua organicità. Inoltre, rappresentano un mirabile esempio di sintesi tra spiritualità orientale e occidentale indicando quanto sia indispensabile anche oggi il contatto diretto con queste radici cristiane. Come già accennato l’Ordine di San Benedetto riveste un’importanza fondamentale nella formazione dell’identità alla base della civiltà europea, grazie alla rete di monasteri che già dal medioevo sono in grado di mettere in connessione culture di ogni regione del Vecchio Continente. Proprio in virtù di questo apporto, il 24 ottobre del 1964 Paolo VI ha proclama San Benedetto Patrono d’Europa. L’Ordine benedettino si è diffuso via via in tutti i continenti e attualmente rappresenta una realtà monastica presente in tutto il mondo.