Di cosa abbiamo bisogno per entrare nel Natale

In questa domenica Gaudete ci viene presentata la difficoltà che abbiamo nell’“accogliere”.  Insieme a “vegliate”, che abbiamo ascoltato da Gesù nel Vangelo di Marco della prima domenica, accogliere è una delle Parole di questo tempo che ci conduce al Natale di Gesù.

Accogliere, aprirsi alla novità, riaprirsi alla Speranza: non è per nulla facile, perché abbiamo i nostri schemi, le nostre idee, sopra tutto e su tutti. Era difficile accogliere la predicazione di San Giovanni Battista, un uomo che non corrispondeva alle regole, che predicava nel deserto…tutti gli chiedevano chi fosse, ma è singolare pochi ascoltavano davvero quello che gridava: “Rendete diritta la via del Signore”!

Lo stesso che accadrà a Gesù quando nella sinagoga di Nazareth annuncerà la Sua missione, riprendendo le parole del profeta Isaia, che oggi ascoltiamo nella prima lettura: “Lo spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione…” (Luca 4,18). I suoi concittadini, si scandalizzano, si sdegnano dice il Vangelo di Luca, e non solo rifiutano questo annuncio di Salvezza, ma tentano anche di gettare Gesù giù dal monte.

Accogliere vuol dire farsi piccoli, riconoscersi poveri, accettare che non sappiamo noi quali siano le strade giuste, che abbiamo bisogno di aiuto: questo significa oggi accogliere Cristo da chi, forse in un modo inaspettato faceva come il Battista, talvolta scomodo, ce lo annuncia.

Il Natale è una nascita: quando si attende un figlio che nasce per accoglierlo è necessario uscire da noi stessi, accettare che arrivi qualcuno che ci cambia la vita, che ci libera dalla preoccupazione di essere noi i protagonisti. La vita è sempre qualcosa che ci supera, che sfugge al nostro controllo, che in qualche modo ci scomoda: ma è meravigliosa, come la Salvezza. E come questa ci è donata gratuitamente.

Per entrare nel Natale abbiamo bisogno di fare nostro l’invito con cui don Tonino Bello concludeva i suoi famosi Auguri scomodi di Natale: “I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi”.

La povertà più difficile è quella del cuore: avere il coraggio di ammettere di avere sbagliato, accettare che da soli non possiamo farcela, che solo il Signore ci può cambiare. Questo ci salva. Davanti ai regali di Dio non possiamo avere vanti, Lui ci lascia la libertà di rifiutarli, come quel giorno facevano i sacerdoti e i leviti con l’Annuncio di Giovanni Battista, perché non conformi alle loro idee; oppure accoglierli con stupore, con la gratitudine e l’allegria di riconoscerne la bellezza.