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Meno è di più, ovvero: essere manchevoli per essere

Più possediamo strumenti, più possediamo possibilità. Lo strumento infatti apre sia ad una nuova possibilità, sia parallelamente alla personale consapevolezza della presenza di tale possibilità. Più cresce il numero di strumenti, più sappiamo di avere a nostra disposizione una gamma sempre più ampia di possibilità tra le quali scegliere. E, sapendo di poter scegliere, tendenzialmente l’individuo sceglie la possibilità che gli permette di raggiungere il massimo del risultato con il minimo sforzo: d’altronde, tra il prendere la bicicletta per andare a trovare un amico, lo scrivergli una lettera oppure chiamarlo con Skype, sarei molto tentato di scegliere l’ultima opzione. Comoda, ma non piena; veloce ed efficiente, ma non significativa. Strumento e possibilità è un binomio che non può essere scisso: colui che possiede uno strumento, possiede possibilità maggiori rispetto a colui che non lo possiede. Ma poiché lo strumento apre possibilità e consapevolezza di tali possibilità, esso crea anche quella frenetica ricerca del possesso dello strumento: come non desiderare infatti un mezzo che praticamente permette di compiere in maniera comoda e veloce tutte quelle operazioni – relazionarsi, divertirsi, socializzare, innamorarsi, serbare memoria dei ricordi, informarsi – che, sino a poco tempo fa, dipendevano solo dalla pratica e dalle intenzioni umane?. E dato che ogni possibilità aperta dallo strumento viene presentata come unica, come portatrice di vantaggi irripetibili, come “un’offerta da non lasciarsi scappare”, nasce di conseguenza la frenesia del voler consumare appieno tutte quante le possibilità e di volerle godere tutte, magari contemporaneamente. Il filosofo danese Kierkegaard avrebbe ricondotto questo atteggiamento alla figura del Don Giovanni il quale, scegliendo e godendo di tutte le possibilità possibili (et-et), in realtà manifesta la sua incapacità nello scegliere una via sacrificando le altre (aut-aut).

Il problema della scelta tra queste possibilità apre le porte ad un ulteriore problema: la morale (quest’ultima vien sempre più bistrattata e trattata con un certo disgusto, con un certo rifiuto). Qual è la scelta più giusta? E se tutte le scelte sono giuste, al punto tale da non poter più parlare sensatamente di un Giusto, come posso sceglierle tutte? Sulla base di cosa opero un discrimine? Sulla base di ciò che mi assicura una soddisfazione più veloce? Ma ciò che mi soddisfa è davvero buono?

L’anno scorso ho venduto il mio smartphone, rimanendone senza per circa otto mesi e utilizzando un modello di Nokia 3310. In breve: la mancanza di uno strumento così potente ha spesso creato l’occasione per mettere in moto la mia volontà e per migliorare la mia capacità di destreggiarmi tra varie difficoltà materiali nate nel perseguimento di un fine, di un obiettivo. La mancanza di mezzi, così come la mancanza di uno schermo sempre accesso, stimola inevitabilmente la creatività nella risoluzione di problemi. La mancanza di natura materiale genera il sogno, il quale possiede una natura immateriale. E tale immateriale possiede la capacità di concretizzarsi a sua volta nel materiale, orientando il cambiamento verso la realizzazione del sogno. Al contrario, una sovrabbondanza di mezzi e possibilità può condurre ad una sorta di paralisi progettuale: perché sognare e, di conseguenza, agire, se tutto è già possibile? L’azione scaturisce dal pensare l’impossibile come possibile. Ma l’eccesso di mezzi, come affermano Papa Francesco e il filosofo cristiano Jacques Maritain, uccide la potenza dei fini, dei sogni, dei progetti, dell’agire umano: se tutto è già possibile, non ha alcun senso pensare l’impossibile.

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