Ecco chi sono i poveri di oggi

Dopo aver cercato di orientare la riflessione verso ciò che è l’essere umano, quale sia il suo posto all’interno del Creato e come possa entrare in relazione profonda con l’Altro, sorge spontanea la domanda: chi è, oggi, il nostro “prossimo”? Leggendo la Laudato Si’, un’indicazione ci viene data: il prossimo è colui che, a causa della nostra cattiva relazione intessuta fino ad adesso con il Creato, risente in maniera impotente della situazione creatasi. È il povero che vive in condizioni di ristrettezza economica, è la persona costretta a scappare dalla propria terra per conflitti politici o per i cambiamenti climatici, o per entrambi. Ma è anche colui che chiede solidarietà nella fatica, è l’amico che non riesce a sottrarsi a relazioni sentimentali malsane e manipolatorie, è l’amica che non vede altro se non la propria solitudine dalla quale non scorge alcuna via di fuga. Se è vero che la causa della spossatezza contemporanea può essere ricercata in situazioni materiali (come le difficoltà economiche o le strutture sociali e politiche non funzionanti), è allo stesso tempo vero che gran parte della responsabilità è da ricercarsi anche all’interno di una cultura che, ogni giorno, noi per primi tendiamo a rinforzare e a confermare attraverso il nostro comportamento. È, questa, la cultura dell’individualismo, nata a sua volta da quella «dittatura del relativismo [che] non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». È papa Benedetto XVI a parlare: relativizzare un Assoluto comporta, prima o poi, assolutizzare se stessi.

Ma, come abbiamo visto, è possibile “guarire nella relazione” grazie all’Altro che è immagine dell’Oltre e grazie all’Oltre che sta dietro l’Altro. Guarendo noi, guariamo il “prossimo”. Il contesto sociale, al di là dei problemi che lo attraversano e che lo spaccano, offre varie e molte occasioni di Bellezza, di esempi di generosità e di altruismo spesso ispirati e guidati da Qualcosa che li trascende: nel momento in cui sto scrivendo questa frase, il telegiornale ha appena annunciato la notizia del voto positivo emerso dalla Camera dei Deputati sulla fiducia posta dal Governo sul decreto Clima; in ogni momento, ragazzi e ragazze si impegnano, all’interno della propria comunità o della propria diocesi, nella formazione e nell’educazione di persone più giovani di loro; associazioni di volontariato – come il Sermig –, di lotta e di critica sociale – come Libera –  o di sensibilizzazione – come Deina, la quale organizza viaggi per studenti liceali verso i campi di concentramento –agiscono, con tutte le loro inevitabili contraddizioni, in vista di un miglioramento della società; una ragazza del Piemonte, nel proprio piccolo quotidiano, ha dato vita ad una esperienza comunitaria affinché anche i laici possano vivere appieno l’agire cristiano; un’altra la aiuta a regolamentare persone immigrate dalla Nigeria insegnando loro la lingua italiana. E tanti altri esempi, religiosi e non. Il Bene è il lievito della società presente e futura. Ciò che importa è il cercare di non ripiegarsi su se stessi al punto tale da ritenersi gli unici, i soli, ad attraversare delle difficoltà. La sofferenza infatti è spesso accompagnata dalla pretesa di essere unica ed incomprensibile agli altri e, di conseguenza, dalla tendenza personale alla solitudine; nella sofferenza e, in particolare, nella inconsapevole sofferenza sociale, tendiamo, come scrive il sociologo Zygmunt Bauman in Retrotopia, a formare idilliache immagini del passato, perdendo di vista il presente e disperando nel futuro. È possibile superare questo “deserto” concentrandosi sull’”Altro bisognoso”, sul “povero di oggi”: se io soffro, allora forse anche l’Altro soffre. E se nessuno lo aiuta, forse io posso aiutarlo in quanto sofferente come me. E, forse, la mia sofferenza, pur essendo enorme, può essere ridimensionata alla luce della conoscenza della sofferenza del bisognoso. Anzi: proprio la sofferenza comune può divenire occasione di dedizione nei confronti del «prossimo». La solidarietà è la risposta decisiva alla quale giungono sia Bauman, sia papa Francesco (anzi: ad un certo punto del libro, Bauman cita direttamente un discorso del papa).