Come difendersi dai demoni alleati del Covid-19

Più volte in questo periodo è stato ripetuto che è un grave errore non attenersi alle disposizioni delle autorità in materia di contagio. Ognuno è chiamato a fare la propria parte per non vanificare sofferenze, sforzi e fatiche finora compiuti. Disobbedire significherebbe anche mettere a repentaglio la vita di tutti, specialmente dei più deboli, oltre che calpestare le tante persone scomparse e disprezzare l’operato di medici, infermieri, sacerdoti e quanti sono esposti a innumerevoli rischi per permettere agli ingranaggi della società di non incepparsi. Purtroppo, non si può nascondere che diverse persone, da quando è iniziata la pandemia, hanno contravvenuto a quelle semplici seppur gravose regole che sono state imposte per preservare il bene comune. Per i motivi più svariati in un attimo si sono messi nelle condizioni di poter rovinare il futuro proprio e altrui. Distrazione, superficialità, negligenza, egoismo? Quale sia la ragione il risultato è stato sempre lo stesso, come se un demone avesse avuto la meglio alleandosi col coronavirus per aggiungere altra angoscia alla sofferenza, ulteriori patimenti al dolore. Tali atteggiamenti indicano una rischiosa propensione a voler banalizzare, quasi disprezzare, la vita, specialmente quella di coloro che portano nella propria carne il peso di tanta trascuratezza.

Dietro a tutto ciò si possono rintracciare due pericolosi vizi capitali che affliggono l’uomo di ogni epoca e latitudine: l’accidia e la superbia. Secondo lo scrittore francese Georges Bernanos l’accidia è il “più prezioso elisir del demonio”. Analogamente, l’asceta e monaco dei primi secoli cristiani Evagrio Pontico, parla di “demone dell’accidia”. Essa è l’inerzia e la svogliatezza di chi pensa che qualunque gesto compia le cose non cambieranno e – tanto per calarci nel periodo attuale – che se assume un atteggiamento o addirittura il suo opposto alla fine si produrrà sempre lo stesso effetto. Un’apatia che è sinonimo di leggerezza e si trasforma però in qualcosa di più grave: dolosa irresponsabilità. Come quelli che, per sbadataggine e menefreghismo, ritengono indifferente indossare o meno la mascherina oppure uscire di casa senza una valida ragione.

La superbia, radice dell’albero del male e “padre” di tutti i vizi capitali, consiste nell’illusione di essere come Dio e fa vedere il mondo dall’alto verso il basso. Il superbo si sente padrone della vita, del mondo, della storia e crede di aver sempre ragione; pensa che tutto gli è permesso e crede di essere in diritto di poter “scavalcare” l’altro. Quando ci si comporta così il Signore non può entrare perché il cuore è pieno di astiosa prepotenza. D’altronde, come affermato da Papa Francesco, “il diavolo vuole la sterilità. Vuole che ognuno di noi non viva per dare vita, sia fisica sia spirituale, agli altri. Che viva per sé stesso: l’egoismo, la superbia, la vanità. Ingrassare l’anima senza vivere per gli altri. Il diavolo è quello che fa crescere la zizzania dell’egoismo e non ci fa fecondi”.

È importante, allora, contrastare queste innate tendenze umane, eliminando accidia e orgoglio, cercando la via della diligenza, del fervore, dell’umiltà. I cristiani e tutte le persone di buona volontà sono invitati a seguire l’insegnamento di santi come Francesco d’Assisi, senza gridare, ma ascoltando e parlando con mitezza. Un altro antidoto per curare questi difetti è riconoscersi peccatori compiendo atti di carità gratuita nei confronti del prossimo e manifestando gratitudine verso il Signore. “La persona che fa attenzione – ha spiegato il Pontefice durante un Angelus – è quella che, nel rumore del mondo, non si lascia travolgere dalla distrazione o dalla superficialità, ma vive in maniera piena e consapevole, con una preoccupazione rivolta anzitutto agli altri. Con questo atteggiamento ci rendiamo conto delle lacrime e delle necessità del prossimo e possiamo coglierne anche le capacità e le qualità umane e spirituali. La persona attenta si rivolge poi anche al mondo, cercando di contrastare l’indifferenza e la crudeltà presenti in esso, e rallegrandosi dei tesori di bellezza che pure esistono e vanno custoditi. Si tratta di avere uno sguardo di comprensione per riconoscere sia le miserie e le povertà degli individui e della società, sia per riconoscere la ricchezza nascosta nelle piccole cose di ogni giorno, proprio lì dove il Signore ci ha posto”.

Nell’attuale mondo globalizzato ogni singola azione compiuta dall’uomo ha un effetto su tutta l’umanità. Le sorti di interi popoli e quelle personali si intrecciano tra loro in modo indistricabile. Quindi è fondamentale impegnarsi ognuno nel proprio campo senza cedere al pessimismo e contrastando la cultura dello scarto, che agisce a molteplici livelli, tanto collettivi quanto individuali. Qualche giorno fa il Papa, in un’intervista a una rivista spagnola, ha commentato il brano evangelico in cui si narra di quelle donne che la mattina di Pasqua sono andate al sepolcro in mezzo “alle tenebre e allo scoraggiamento” ma hanno portato “i loro sacchetti di profumo” per ungere il corpo del loro Maestro. Con grande sorpresa e gioia esse hanno incontrato Gesù risorto che ha detto loro “Rallegratevi”. Il Pontefice ha sottolineato come proprio in questo periodo abbiamo visto “l’unzione versata da medici, infermiere e infermieri, dal personale che riempie gli scaffali nei supermercati, dagli addetti alle pulizie, custodi, trasportatori, forze di sicurezza, volontari, sacerdoti, suore, nonni ed educatori e tanti altri”. “Non abbiamo paura – ha continuato – di vivere l’alternativa della civiltà dell’amore, che è una civiltà della speranza: contro l’angoscia e la paura, la tristezza e lo scoraggiamento, la passività e la stanchezza. La civiltà dell’amore si costruisce ogni giorno, ininterrottamente. Richiede l’impegno di tutti. Essa presuppone, quindi, una comunità impegnata di fratelli”.