Perché la non cultura della morte aggredisce la cultura della vita

fine vita

Gentile Direttore,

ho letto con preoccupata attenzione l’articolo di Marco Guerra dal titolo: “Se durante la pandemia avanzano aborto ed eutanasia” e – come spesso mi accade quando leggo gli articoli di Interris – mi è capitato di riflettere a lungo sulla situazione in cui ci troviamo.

Dunque, viviamo una pandemia pericolosissima che sta limitando le libertà individuali e che ci mette faccia a faccia con il rischio di morte, proprio come una delle due guerre mondiali che l’umanità ha vissuto nel secolo scorso. Ebbene, invece di far prevalere il senso della vita ed il desiderio di essere migliori, chi decide le sorti dei popoli sembra essere preoccupato della necessità di rendere legali e disponibili aborto ed eutanasia.

Ma come è possibile non cogliere questa esperienza dolorosissima del Coronavirus per provare a rilanciare una cultura della vita? Perché l’umanità continua ad avvitarsi in una spaventosa non cultura della morte? Sono le domande che io pongo a me stesso ma che desidero porre anche a Lei ed ai giornalisti del suo giornale. Mi piacerebbe continuare a leggere su Interris altre riflessioni di questo genere. Per cercare di invertire la rotta, occorre farci le domande giuste per evitare di cadere nel qualunquismo e nel pressappochismo.

Grazie per il vostro lavoro e per la vostra attenzione.

Ludovico F.