Dad: perché non siamo riusciti ad offrire di meglio ai bambini?

pandemia

Siamo tornati di nuovo tutti a casa. Un anno fa i giornali e la televisione ci comunicavano che qualcosa di invisibile colpiva gli anziani e che per il bene di tutti dovevamo evitare di uscire: il Covid-19 iniziava a stravolgere le nostre vite. Tra tutte le chiusure quella più significative per me, studentessa universitaria e futura insegnante, è stata sicuramente quella che ha coinvolto le scuole. Il mio percorso di formazione si bloccò quel semestre, ancor prima di poter conoscere i bambini e le bambine della scuola dell’infanzia dove avrei dovuto svolgere il mio tirocinio.

Quest’anno, grazie anche a tutte le misure di sicurezza introdotte da scuole e università, le cose sono andate diversamente e i bambini li ho potuti conoscere. Li ho osservati a scuola e ho svolto con loro qualche attività, prima che la nostra provincia finisse nuovamente in zona rossa, nuovamente in D.A.D. Ma stavolta credevo di arrivare più preparata: un anno di D.A.D universitaria pensavo bastasse a prepararmi. Finché non mi sono scontrata con i grandi bisogni dei miei piccoli allievi.

Ho visto, dietro ad uno schermo, dei bambini bisognosi di continue rassicurazioni: “torneremo a scuola”, “non vi preoccupate”, “sì le maestre stanno bene”. C’è chi vorrebbe bucare lo schermo per investirti dei suoi racconti su come ha passato la giornata con i fratellini perché gli manca vedere la maestra a cui raccontava tutto. O ancora, c’è chi si è preparato tutti i disegni che ha fatto da solo negli ultimi giorni, per farli vedere a te e ai suoi compagni. Ma c’è anche chi, come Francesco, durante l’attività si allontana e si nasconde perché, come dice il suo papà: “non gli piace lo schermo, vorrebbe stare a scuola e si sente a disagio”. Qualcuno si appoggia alla mamma e gli dice che è stanco, qualcun altro confessa che forse la scuola gli manca “tanto tanto”.

Tutti vorrebbero giocare insieme. Come è possibile che, dopo un anno, non siamo riusciti ad offrire loro qualcosa di meglio di una videochiamata? Alla fine, però dai più piccoli si impara sempre qualcosa e quando la maestra non riesce a proiettare il gioco per problemi di connessione, qualcuno azzarda che a scuola lo potranno rifare insieme e che può capitare in “videocall” che qualcosa “vada stolto”. Tutti ridono, finalmente, e le maestre rilanciano con scherzi e battute. Alla fine, la “videocall” termina in modo un po’ più leggero, perché i bambini lo sanno che poi “ci vediamo ancora tanto”. 

Nunzia Lestingi