“Vi spiego perché la cannabis light fa male”

Il tema della cannabis light è tornato prepotentemente d’attualità questa settimana. Tutto è nato dall’annuncio del ministro dell'Interno Matteo Salvini di voler chiudere i “cannabis shop”. Una legge entrata in vigore nel gennaio 2017 legalizza, all’interno di questi negozi, la vendita di canapa con un contenuto di thc inferiore allo 0,6%. Precedenti leggi ne vietano però l’uso personale ricreativo. Ma in quanti lo sanno? In Terris ha potuto prendere visione dei risultati preliminari di uno studio dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Verona guidato dal prof. Giovanni Serpelloni, già capo del dipartimento anti-droga della Presidenza del Consiglio: su 1484 studenti intervistati (di età compresa tra i 13 e i 19 anni), “oltre il 40% ha dubbi o convinzione errate sulla ipotetica avvenuta legalizzazione della cannabis in generale”. Si pensi, ad esempio, che il 64,8% degli intervistati non sa che la cannabis light può far risultare positivo il drug test nei guidatori, mentre il 31,4% non sa che la vendita di cannabis light non è autorizzata per l’uso umano. Come spiega in un’intervista ad In Terris il prof. Serpelloni – che ha sottoposto i risultati di sue precedenti ricerche al ministro della Famiglia Lorenzo Fontana – la presenza di questi negozi “altera la percezione del rischio, specie nei più giovani, in molti finiscono per pensare che la cannabis sia legale e che non faccia male”.

E invece, prof. Serpelloni, la cannabis light fa male?
“Non ci sono studi che dimostrino l’innocuità della cannabis light. Siccome la sanità pubblica deve applicare sempre il principio di precauzione, deve quindi vietarne l’uso umano. Nella cannabis light c’è un’alta percentuale di cbd, che è un cannabidiolo, una sostanza farmacologicamente attiva che tre mesi fa negli Stati Uniti è stata registrata come farmaco antiepilessia per i bambini.

Quindi?
“Dà degli effetti collaterali. Può creare problemi di coordinamento psicomotorio. Ma loro lo vendono, al di fuori della linea farmacologica controllata e soprattutto senza prescrizione, come rilassante…”.

Un semplice rilassante?
“Sì. Sono entrato in un negozio e ho chiesto al commesso se lui prenderebbe un farmaco come rilassante. La sua risposta è stata negativa, al che gli ho fatto presente che il cdb è un farmaco antiepilettico…”.

Resta però il fatto che il thc è sotto la soglia dello 0,6%…
“Falso, come risulta da uno studio che abbiamo condotto come Istituto di Medicina Legale dell’Università di Verona in collaborazione con gli atenei di Parma e Ferrara”.

Di che si tratta?
“Abbiamo acquistato in vari negozi circa 30-40 grammi di erba, l’abbiamo triturata e inserita in un estrattore di metallo facilmente reperibile su internet che usa bombolette di gas butano per ottenere un’estrazione in fase fredda. Ebbene, abbiamo verificato che con questo sistema da 15 grammi di sostanza vegetale si possono produrre fino a 15 milligrammi di thc. Tenga conto che la dose drogante minima è 4 milligrammi…”.

Ma lo stesso principio si può applicare a una serie di sostanze vendute legalmente, ad esempio ai semi di papavero o alla caffeina…
“Certo, è così. L’estrazione, a freddo o a caldo, di diverse sostanze può portare a principi attivi molto pericolosi. Ma questo non giustifica la legalizzazione della cannabis. Le vittime di questo mercato sono i ragazzini. Il 70% dei consumatori della cannabis è composto da minori di vent’anni”.

Come si fa prevenzione nei confronti dei giovani?
“Anzitutto fornendo un’informazione corretta. C’è in atto una campagna a favore della cannabis, su presunte potenzialità terapeutiche. Il principio di marketing è il seguente: se si fa accettare una sostanza come cura di malattie, diventa più facile persuadere l’opinione pubblica a consumarla a scopo ricreativo. Dunque bisogna sfatare i miti: genitori ed educatori hanno il compito di spiegare ai giovani che la cannabis è una sostanza pessima per la loro crescita e per la tutela delle loro funzioni neuronali e psicologiche”.

Dubita delle funzioni terapeutiche della cannabis?
“È più corretto parlare di funzione medica, perché più che curare ha la potenzialità di ridurre le sofferenze e la rigidità muscolare. Per tali scopi nessuno si oppone all’uso della cannabis ed anche di altri prodotti, come la morfina o l’oppio, a patto che sia un uso regolamentato da rigorose procedure di filiera medica. È inaccettabile saltare questa fase sperimentale”.