Un “Patto per la Natalità”, per evitare il suicidio demografico

dati Istat sulla natalità in Italia sono impietosi. È ormai incessante il calo demografico del Paese. Nel 2016 le nascite sono state 473.438, nel 2017 questo record negativo dall’Unità d’Italia è destinato ad essere peggiorato di qualche migliaia di unità. Ma a cosa servono le statistiche, se poi non si traducono in azioni concrete?

Un “Patto per la Natalità”

È la domanda che muove Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, che oggi in Senato ha presentato il “Patto per la Natalità” (#pattoxnatalità), un programma di sette punti da sottoporre al prossimo Governo affinché intervenga in maniera strutturale per arginare questa tendenza che porterebbe al collasso del Paese.

Una prospettiva, quest’ultima, eccessivamente pessimistica? Niente affatto. Numeri alla mano, i demografi prof. Gian Carlo Blangiardo e prof. Alessandro Rosina hanno dimostrato come il persistere dell’inverno demografico produrrebbe effetti nefasti.

Un problema che ha radici lontane

Il tema della crisi delle nascite sta diventando sempre più preoccupante, ma non è nuovo. Già intorno al 1976, quando l’indice di natalità era di 2 figli per donne – ha ricordato il prof. Blangiardo – si iniziava a percepire un calo che avrebbe potuto incrinarsi pericolosamente. Oggi, ad oltre quarant’anni di distanza, l’indice di natalità è sceso a 1,3 circa. “Nel 2017 – ha spiegato il docente – il saldo tra nati e morti è stato di circa 200mila unità in meno”.

Un saldo negativo terrificante

Si tratta di un record, che con questa china rischia di trasformarsi in un dramma. “Se la tendenza demografica non cambia – la sua osservazione – nel 2047 ci saranno 800mila morti e 400mila nuovi nati”. E la forza lavoro subirebbe una diminuzione di un milione e 600mila persone. Come se non bastasse, aumenterebbe in modo robusto il numero degli anziani a carico della previdenza sociale. “Gli ultranovantenni sarebbero 806mila in più e gli ultracentenari 46mila in più”, ha detto il docente.

Addio forza lavoro italiana

Ai dati tutt’altro che incoraggianti esposti da Blangiardo, si sono aggiunti quelli del suo collega Rosina. Quest’ultimo ha spiegato che ad oggi il grosso della popolazione italiana ha tra i 40 e i 50 anni, si tratta dei figli del “baby boom” degli anni Sessanta/Settanta, ancora inseriti nel mondo del lavoro e dunque in grado di contribuire alle pensioni degli anziani. Nel 2031, tuttavia, il picco della piramide si sposterà sulla fascia d’età 60-70 anni, un vero e proprio fardello per le casse dello Stato.

Il calo demografico – ha osservato Rosina – “è un terremoto lento”, che oggi ancora non ci fa rendere conto a pieno della sua devastante presenza, ma che “domani porterà uno sconvolgimento sociale se non si interviene prima”.

Entrambi i demografi sono convinti che sia “il tempo di fare delle scelte importanti” in tema di politiche demografiche. “Non bastano i bonus destinati solo a chi è sotto una soglia di povertà – ha detto Blangiardo – bisogna incentivare le nascite in tutte le categorie sociali del Paese, ossia fare politica demografica e non soltanto di contrasto alla povertà”.

Giovani italiani: desideri soffocati

Del resto, una serie di elementi fanno supporre che una politica familiare strutturale contribuirebbe in modo drastico all’aumento delle nascite. Rosina ha dimostrato che esiste un abisso tra il desiderio di genitorialità dei giovani italiani e la capacità di realizzare questo proposito. Il demografo ha fatto un paragone con la Francia, dove mediamente un giovane desidera lo stesso numero di figli di un suo coetaneo italiano. Tuttavia, Oltralpe si riesce a dar seguito concreto a questa aspirazione, mentre in Italia no. Qui, i giovani vorrebbero in media due figli, realisticamente credono però di poterne avere (in media) 1,5, e nei fatti ne riescono ad avere ancor meno.

Il divario tra i due Paesi è dovuto alle politiche familiari, che in Francia sono efficaci, mentre nel Belpaese latitano. “Va detto – la riflessione di Rosina – che incentivare la natalità porta risultati positivi per tutta l’economia nazionale, mentre la rinuncia in questo senso sortisce effetti negativi”.

Una nota di ottimismo

In questo scenario desolante, è viva una flebile luce. Il prof. Rosina ha ricordato che “nelle Regioni del Nord-Italia, dal 1995 al 2008, anno di inizio della crisi economica, si è registrato un percorso positivo di crescita della fecondità”, che ad esempio in Emilia-Romagna “è arrivato ad un aumento medio di mezzo figlio per donna”. Il messaggio di questi dati? “Se, usciti dalla crisi, torniamo a costruire politiche adeguate e solide, possiamo tornare a far crescere la natalità” ed evitare il dramma prefigurato tra trent’anni. La palla ora passa alla classe politica.