Un malato su due abusa degli antibiotici

Sifo

Sos per le terapie antibiotiche che non riescono più a bloccare le infezioni. Secondo i dati dell’Istituto superiore della sanità,  il 10% degli italiani ha già fatto i conti con questa emergenza sanitaria.  L'Italia è prima in Europa per numero di morti legato all'antibiotico-resistenza: dei 33.000 decessi che avvengono nei Paesi Ue ogni anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10.000 si registrano infatti nel nostro Paese. Fino a oggi, l’allarme è rimasto confinato dentro le mura degli ospedali, nelle sale trapianti, nelle terapie intensive. A far grande paura da noi è soprattutto la Klebsiella Pneumoniae Kpc, che causa polmoniti, infezioni del sangue e del tratto urinario. Nel nostro paese gli studi rivelano che colpisce sei pazienti ogni diecimila ricoveri, contro una media europea di 1,3.

Nuovi test molecolari

“Sviluppare una resistenza agli antibiotici è un problema che si può pagare a caro prezzo, soprattutto perché quando c’è un’infezione si allungano i tempi per arrivare a una terapia efficace”, riferisce Donna Moderna-. Per correre ai ripari si punta alla diffusione dei nuovi test molecolari che in circa sei ore sono in grado di individuare con precisione batterio e cura”. Il più usato al momento è uno speciale microscopio. Dal campione di sangue, oppure di urine, o di altro, a seconda della zona colpita, vengono isolate le cellule del batterio: l’esame permette di ottenerne un identikit e di evidenziare dal Dna a quali antibiotici è sensibile. “Con questo test la cura viene impostata fin da subito in modo mirato”, spiega al settimanale Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano. I costi però sono ancora molto elevati. E l’indagine viene riservata solo alle situazioni più complesse, come infezioni particolarmente gravi che non rispondono alle cure. Il problema dei batteri che resistono ai farmaci dipende da tanti fattori: tra questi c’è sicuramente il fatto che in ospedale le infezioni dovute a questi microrganismi così battaglieri si diffondono sempre di più e sono tenute poco sotto controllo. Ma non solo. L’utilizzo esagerato e continuo che viene fatto di questi farmaci favorisce l’emergere, la moltiplicazione e la diffusione dei ceppi resistenti. Un progetto su tre anni, dal 2017 al 2020 è il Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza. Le pietre angolari? Sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni, impiego corretto degli antibiotici, formazione, comunicazione e informazioni, ricerca e innovazione. “Potrà funzionare?”, si chiede La Stampa. Le perplessità arrivano da Claudio Viscoli, presidente della Società italiana di terapia antinfettiva.

Comportamenti errati 

È un progetto che detta linee precise, ma è difficile poterle realizzare in mancanza di adeguate risorse: il solito problema”. Ricorda, Viscoli, come l’allarme per la diffusione dell’Aids fu affrontato dall’Italia con una legge e con dei fondi mirati: “Questa invece non è una legge e non ci sono soldi. in queste condizioni, è impossibile sperare nei miracoli, eppure l’antibiotico-resistenza rischia di diventare una grave criticità, non solo nel nostro Paese”. Un rischio tradotto in una frase: “Questa è l’unica emergenza medica in cui con i nostri cattivi comportamenti stiamo rischiando di coinvolgere anche le prossime generazioni, i nostri figli e i nostri nipoti, se non interveniamo con decisione”. Un problema grave, secondo Giovanni Rezza: “Già non è bello se un anziano muore prima di quanto dovrebbe, ma c’è il rischio che un giovane operato dopo un grave incidente, o sottoposto a un trapianto, possa poi essere stroncato da un’infezione”. Viscoli traccia un’evoluzione delle cose che non può non scatenare nuove preoccupazioni: “Stiamo constatando che questi super batteri non rimangono più confinati dentro le mura dei reparti di ospedale. Stanno uscendo all’esterno, colpiscono anche persone che vivono un’esistenza normale, lontana dalle strutture sanitarie, e che non hanno particolari patologie”. Possono essere contratti ovunque, in ogni momento della vita quotidiana. È stato calcolato che il 30% delle infezioni che vengono curate in ospedale si sarebbe potuta evitare perché dipende dall’uso improprio degli antibiotici fatto in precedenza e che ha reso l’organismo più suscettibile ai batteri. Il ministero della Salute ha messo in atto un piano di attacco con campagne di informazione capillari in ogni Regione.

Di testa propria

L’obiettivo è ridurre entro il 2020 del 10% l’indicazione degli antibiotici da parte dei medici e del 5% la somministrazione in ospedale. Esiste la tendenza a una prescrizione sempre più massiccia e non sempre giustificata dalla gravità della malattia”, concordano gli esperti consultati da Donna Moderna. “E questo soprattutto nella medicina d’urgenza“. Eppure per capire quando è il caso di ricorrere a questo tipo di medicinale basta leggere il box qui a destra. Le responsabilità però non sono solo dei medici. Ne abbiamo parecchie anche noi. Circa un malato su due commette degli errori, Li assume di testa propria, utilizzando quelli che ha in casa, rimasti da una precedente terapia. Oppure gestisce in autonomia la cura, senza seguire fino in fondo le indicazioni del medico. Tra gli sbagli più comuni c’è il fatto di sospendere la terapia non appena si ha la sensazione di stare meglio, oppure non rispettare gli orari di assunzione. Senza sapere che i batteri responsabili dell’infezione così potrebbero essere debellati solo in parte e che questo consente all’infezione di progredire o crea batteri resistenti. È poco risaputo anche che durante la terapia bisognerebbe evitare il consumo di agrumi perché possono alterare l’efficacia degli antibiotici. E che dovrebbe esserci una distanza di un paio d’ore tra l’assunzione del farmaco e un pasto con alimenti integrali: così si evita che le fibre di questi accelerino il transito intestinale dei farmaci.

Prevenzione

Via libera ai probiotici perché se assunti durante la cura, aiutano a prevenire i disturbi intestinali e rinforzano la flora batterica. L’antibiotico è utile nel caso di infezioni del tratto urinario come le cistiti ricorrenti. Va urilizzato anche per quelle dell’apparato respiratorio, in primis le bronchiti, e in alcune forme di polmoniti, per citare i disturbi più comuni. Questo tipo di terapia viene usata anche dopo un intervento chirurgico, per prevenire le infezioni batteriche. L’antibiotico non funziona contro raffreddori e influenze e ottiene risultati solo nella metà dei casi delle laringotracheiti e nel 60% delle forme di semplice cistite. Non servono neppure prima di un intervento, osserva il settimanale, come l’estrazione di un dente, a meno che non si soffra di problemi di salute che rendono il sistema immunitario più sensibile alle infezioni.