Si parla di giovani, benessere e alimentazione

Come consegnare alle nuove generazioni degli stili di vita sani? Come educare alla prevenzione e al benessere? E come poter formare i giovani alla salute? Sono questi alcuni degli interrogativi che saranno affrontati domani, 2 aprile, a Roma nel corso del convegno intitolato “Stili di vita, prevenzione e benessere: la salute si coltiva fin da giovani”, organizzato dall’Istituto Nazionale Tumori “Regina Elena” insieme all’Istituto Dermatologico “San Gallicano” di Roma e all’Università degli Studi di Roma tre, con la collaborazione di “Scienza e Vita” e di “Noi tra la gente”. Interverranno autorevoli specialisti di diverse scienze e discipline interpellate dalla tematica in oggetto, a testimonianza della interdisciplinarietà richiamata da argomenti come questi che rinviano direttamente alla questione delle generazioni future.

Relatori come padri e maestri

L’occasione è tuttavia utile per provare ad abbozzare alcuni spunti di riflessione che possano aiutare ad ampliare l’orizzonte del dibattito, come delle note a margine che contribuiscano, se possibile, a ricercare una visione più profonda delle cose, in grado di smarcarsi dall’esclusività dell’approccio biomedico o al massimo basato sulle scienze umane, recuperando una lettura realmente olistica. Si tratta in altri termini di lasciar maturare percorsi che non insistano sulla frammentazione della conoscenza e di tutte quelle proiezioni del soggetto, dell’individualismo critico fondato sulla connessione tra idea e prassi, promuovendo di fatto l’atomizzazione e la frammentazione del sapere per riscoprire invece una visione d’insieme, un approccio di tipo organico. Mi sembra che uno dei passaggi propedeutici verso una tale prospettiva sia l’assunzione di uno sguardo sapienziale. Sul piano prettamente descrittivo è del tutto normale che diversi studiosi e specialisti consegnino il frutto dei loro studi in congressi e convegni altamente qualificati. Si dovrà invece valutare come i singoli apporti riescano a costruire un percorso realmente educante e quindi sapienziale, se è vero che i destinatari primi di tali sforzi sono evidentemente giovani e famiglie. Proviamo allora a guardare le cose diversamente per cercare di scorgere negli autorevoli studiosi che interverranno al convegno dei padri e maestri che pur rivolgendosi ad una platea di altri addetti ai lavori, in fondo è come se si rivolgessero a dei figli e alunni. In questa luce tutto appare come un dialogo tra le generazioni, come il confronto tra diverse alterità, a partire da una connessione che oggi sembra entrata in crisi, quella appunto padre-figlio. Nell’epoca in cui Lacan prima e Recalcati poi, hanno parlato di evaporazione della figura del padre, è il solo ambito testimoniale quello dal quale si potrà recuperare questo gap? E come interpretare tale testimonianza se non si riscopre quell’orizzonte generativo sapienziale, e quindi il frutto di sapienza che uno consegna all’altro perché ha a sua volta fatto un’alleanza con la stessa sapienza? Evidentemente in questa riflessione confluisce un doppio livello di ricezione/esercizio della sapienza, uno umano e uno divino. Mi sembra che l’approfondimento di quest’alleanza possa valorizzare al meglio il compito di una mediazione autentica in grado di costruire reali ponti verso il futuro. Tutto questo è una forma di diaconia. Aspetto per niente estraneo al convegno visto che uno dei relatori, il prof. Tonino Cantelmi, presidente Associazione italiana psichiatri e psicologi cattolici, è anche un diacono permanente. Il taglio sapienziale della questione aiuta forse ad esplorare alcune domande realistiche che non smettono d’interpellare: perché un giovane dovrebbe ascoltare questi buoni consigli? E abbracciare lo stile della salute, della prevenzione e del benessere? Rileggere questi temi in un’ottica sapienziale significa quindi recuperare una visione armonica della stessa funzione genitoriale, scommettendo sulla capacità di quest’ultima di poter trasmettere quell’alleanza con la sapienza soggiacente ad ogni sforzo educativo.

Che dire del benessere?

Il rapporto con l’alimentazione, per esempio, rimanda a quell’equilibrio interiore e a quel senso della misura al quale il giovane deve formarsi imparando a discernere che cosa significhi il dominio di sé. Rinvia quindi ad una stabilitas formata alla scuola della temperanza e nella consapevolezza di livelli spirituali ulteriori che aiutano a riconoscere il limite tra patologia di carattere biomedico e patologia di ordine spirituale. Alla scuola della sapiente tradizione cristiana, per esempio, si potrebbe cogliere il valore di quella connessione tra patologie spirituali di tipo alimentare e mancanza di dominio di sé in ordine all’esercizio della sessualità e alla gestione dei propri impulsi. L’indebolimento di ogni stile di prevenzione, circa la tutela della salute, non è un segnale della crisi della virtù della prudenza, di quella che già i latini e poi l’antichità cristiana giustamente definivano come auriga virtutem? Che dire ancora del benessere? Se esso viene colto, con poca lungimiranza, come immediatezza, e quindi, anche nell’epoca social, come realtà da sacrificare al consenso mediatico, come poter valorizzare quella ricchezza insita nell’essere per il bene, nel quale il benessere si può intendere come armonia tra pace e salute?