Quel bivio tra giustizia e perdono

Suo figlio è in un carcere. Anni fa si macchiò di un orribile omicidio. Lei, la mamma, non l’ ha mai abbandonato. Non conosco la donna che mi telefona e mi racconta la sua storia. Ha bisogno di parlare, di sfogarsi, di trovare un pizzico di conforto. La ringrazio. Davvero. Ciò che mi ha donato non è paragonabile a ciò che da me ha potuto ricevere. Una mamma addolorata oltre ogni immaginazione. Un mare di lacrime. Lacerata tra la sete di verità, di giustizia e il suo amore di mamma. Non tenta nemmeno per un attimo di giustificare il figlio. Per i genitori della vittima ha solo parole di comprensione, di affetto, di pietà. “Hanno ragione, padre, hanno solo ragione. Io mio figlio in carcere posso ancora vederlo, loro non potranno mai più riabbracciare il loro. Hanno ragione a pretendere per il condannato pene più severe. Ho chiesto diverse volte di poterli incontrare, per invocare perdono, per gettarmi ai loro piedi, per piangere insieme a loro. Non se la sentono, hanno ragione. Io però sto morendo. Sono mamma anch’io…”. Una storia triste.

Gli anni di carcere per chi ha tolto la vita a un essere umano sono e saranno sempre pochi; la famiglia della vittima mai potrà essere adeguatamente risarcita. Purtroppo, indietro non si torna. Puoi solo pentirti, roderti dentro, tentare di rimediare in qualche modo, altro non puoi fare. “Non uccidere” è il comandamento antico. Non uccidere, ma ama, dona, servi è il comandamento nuovo. In genere, da parte della società, per la famiglia della vittima, giustamente, scatta una solidarietà spontanea; ma anche l’assassino ha una mamma, un papà, dei fratelli, dei figli. Persone innocenti, coinvolte, senza volerlo, senza responsabilità in una storia che anche a loro cambierà la vita. La signora che mi ha telefonato è sull’orlo della disperazione. Una donna di fede. Prega. Sente il peso perfino del desiderio – legittimo, umano, materno – di vedere accorciati gli anni di detenzione del figlio. Lo avverte come un peccato. “Non è giusto, padre, lo so… ma io sono sua mamma… che deve fare una mamma?”. Già, che deve fare la mamma dell’assassino? Mi ritrovo a rispondere: “Ogni mamma deve fare la mamma. E continuare ad amare, accompagnare, sostenere il figlio. E pregare per lui, per la sua conversione. Tu, mamma, devi fare tutto ciò che la Giustizia ti consente di fare“.

Non sempre ce ne rendiamo conto, eppure quante persone coinvolgiamo nelle nostre azioni. Quanta prudenza, quindi, dovremmo esercitare prima di proferire una parola, prendere una decisone, lasciarci andare a un atto di violenza fisica, psicologica, verbale. L’incontro telefonico con questa mamma affranta da un dolore che le stringe il cuore mi ha fatto riflettere su un aspetto tenuto in poco conto. Dietro un assassino tenuto giustamente in carcere, ci sono tante altre persone, innocenti, condannate alla sua stessa pena, che vivono alla sua ombra. Familiari che ripudiano l’azione obbrobriosa del loro caro, ma continuano ad amarlo. L’amore di questa mamma mi ricorda l’amore smisurato di Dio per ognuno di noi. Il Signore odia il peccato che è in noi ma continua ad amarci di un amore folle. I genitori e figli degli assassini. Un pizzico di umana pietà anche per loro. Sperando che le famiglie delle vittime coinvolte in storie come questa, possano, facendo uno sforzo sovrumano, concedere il perdono a chi lo chiede.

Indietro, purtroppo, non si torna. Occorre guardare avanti. E davanti, oltre alla giustizia che va per la sua strada, potrebbe essere imboccata la strada del perdono. Perdono che, dato e ricevuto, dona una forza immensa a tutti per continuare a vivere con più serenità. Come sarebbe bello se queste due mamme addolorate e stanche potessero incontrarsi. Il loro abbraccio potrebbe contribuire a sciogliere il ghiaccio che ad ambedue “da quel giorno” tiene congelato il cuore