Norcia rinasce, sull'esempio di San Benedetto

Saldo, fiero, ieratico. Ad accogliere i visitatori al centro della piazza principale di Norcia, un anno dopo il terremoto del 30 ottobre 2016, è il suo cittadino più illustre, San Benedetto. In mezzo ai crolli, a cumuli di macerie che restano accatastati sul terreno, la statua simbolo di Norcia svetta in alto, imperturbabile, invitta al cataclisma tellurico.

Gli occhi del Santo penetrano lo sguardo, il suo braccio destro è disteso come ad indicare la basilica a lui dedicata, poco più in là, di cui è rimasta soltanto la facciata, seminascosta da un fitta rete di ponteggi. La statua è integra, con tutta la sua carica di significato. È forza, appartenenza e dignità. Tre aspetti che traspaiono dalle parole e dagli occhi degli abitanti di Norcia, fedeli come antichi militi al proposito di far rinascere la loro amata città.

L’alba di quella domenica d’autunno sconvolse la vita, già provata dal sisma del 24 agosto, delle popolazioni di Norcia e della Valnerina. La scossa provocò ingenti danni, ma non fece morti, come pure le due precedenti del 26 ottobre. Ciò si deve a un insieme di fattori: su tutti, le case già danneggiate vuote e quelle oggetto di messa in sicurezza. Ma qui la gente non ha dubbi: “Ci ha protetto San Benedetto”, riferiscono con la fede autentica dei semplici alcuni degli abitanti dei container ubicati ai piedi delle mura cittadine.

San Benedetto permea l’animo di Norcia e del suo popolo. E il legame è condensato nell’immagine della comunità benedettina che ha deciso di restare in questa terra anche dopo il violento terremoto. Crollato il monastero, i monaci hanno trovato sistemazione in casette di legno nei pressi di San Benedetto in Monte, su un’altura che domina la città. L’antica chiesa è squarciata, una nuova cappella è stata inaugurata nel settembre scorso. Qui ogni dettaglio è curato, l’odore di incenso inebria, l’atmosfera è solenne, i monaci celebrano Messe in rito antico e pregano – affermano – “per la nostra patria, per i nostri amici e per la nostra famiglia”. Coerenti con la tradizione benedettina di coniugare preghiera e lavoro, producono una birra artigianale, la Nursia, attività sopravvissuta al terremoto. La loro tenacia e il loro senso d’appartenenza, sulla scia di San Benedetto, corrispondono alla voglia di riscatto della città di Norcia. A un anno dal sisma, In Terris ha visitato queste zone e ha intervistato il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno.

Sindaco, un anno dopo, che ricordi ha?
“Quella mattina ci trovavamo nel centro operativo comunale che aveva ospitato le operazioni di censimento dopo il terremoto del 24 agosto; eravamo stati costretti a trasferirci lì a causa delle due scosse del 26 ottobre. Lo schienale del mio letto era accostato al pilastro del centro operativo, che è esploso, dunque la paura è stata terribile”.

Quali sensazioni rimangono?
“Questo è stato forse l’anno più difficile della nostra vita. Resta indelebile la sensazione di terrore che sedimenta dentro, che sembra sopirsi, ma che poi riaffiora in modo prepotente non appena si avverte un tremore dovuto magari al passaggio di un camion o di un treno”.

Terrore ma anche determinazione. A poche ore dal sisma del 30 ottobre, aveva promesso che non avrebbe mollato. A che punto è lo sforzo per far rinascere Norcia?
Non ci siamo mai fermati. Pensi che dal terremoto del 24 agosto non avevo avuto un attimo di tregua, quel 30 ottobre avevamo appena completato la fase di emergenza e aspettavo il ponte del 2 novembre per riposare un po’… E invece è trascorso un altro anno estremamente impegnativo, che ha visto il moltiplicarsi di persone bisognose di ricovero e assistenza. Entro la fine dell’autunno contiamo di terminare la consegna delle nuove abitazioni e in queste ore stiamo delocalizzando molte attività del centro storico. Speriamo che entro la fine di gennaio tutti i commercianti possano riaprire le loro attività”.

La ricostruzione invece come procede?
“In questo anno non è decollata. Stiamo scontando qualche ruggine dovuta alla difficoltà ad approcciare con una mentalità di ricostruzione nuova, con una normativa diventata molto complessa. C’è stato bisogno di tempo ma speriamo a breve di lavorare a regime”.

Lo scorso anno è stato commovente assistere alla volontà dei nursini di non abbandonare la propria terra dopo il sisma. Quanto è forte il legame tra Norcia e il suo popolo?
“Per la terza volta in meno di quarant’anni abbiamo fatto i conti con un evento simile. È stata dura, ma l’identità e l’amore per la propria terra da parte della nostra gente ha fatto sì che questo ‘mostro’ delle viscere facesse crollare le mura ma non la volontà di restare. È stata una scommessa vinta: i numeri dicono che la tendenza delle emigrazioni è esattamente uguale a quella degli anni precedenti”.

Simbolo del sisma del 30 ottobre è la basilica di San Benedetto crollata al suolo. È possibile fare una stima sulla sua ricostruzione? Si parla di un progetto moderno, innovativo rispetto alla struttura originale…
“Stiamo ancora togliendo le macerie, è difficile fare una stima, tanto meno un progetto sulla ricostruzione. La sovrintendenza ha terminato la messa in sicurezza di ciò che resta, ma bisogna qualificare il materiale che è rimasto e, dopo di che, decidere se optare per una soluzione filologica, ossia riposizionare al proprio posto le singole pietre, o se, laddove il materiale non fosse sufficiente, innestare nuovo materiale. In questo caso dovremmo interrogarci e capire se lasciare il segno del tempo, considerando che la facciata, l’abside, i transetti, il campanile sono in piedi. Intatte sono anche le pareti della cripta, dove è avvenuto un fatto straordinario”.

Di cosa si tratta?
“In occasione del Giubileo del 2000 è stata regalata alla città di Norcia una statua di San Benedetto opera del Manzù, che abbiamo collocato nella cripta della basilica. Ebbene, lì dentro, tra i crolli, la statua è rimasta in piedi. Come la statua del Santo al centro della piazza: è intonsa”.

Un segno…
“Esattamente. Come un segno è il fatto che sulla facciata della basilica, se si riesce a guardare attraverso i ponteggi, si nota che le sculture della Madonna con bambino e quelle dei simboli dei quattro evangelisti ai lati del rosone sono intatte. Ricordo che il Vangelo è icona di rinascita. Credo che chi abbia fede debba agganciarsi a questa forte simbologia per andare avanti, e chi non ha fede deve almeno ricordare la storia: durante il bombardamento di Montecassino del 1944, che distrusse tutto, rimase in piedi una statua di San Benedetto; in un analogo bombardamento sulla cattedrale di Colonia, a rimanere in piedi fu sempre la statua del nostro concittadino”.

A proposito di San Benedetto, quanto è importante per la popolazione la presenza della comunità benedettina sul territorio a seguito del sisma?
“Dal 1815, anno in cui Napoleone III chiuse i monasteri nel nostro territorio, non avevamo più una comunità benedettina. Poi per qualche anno, durante la cortina di ferro, trovarono rifugio presso la Madonna delle Grazie dei monaci cecoslovacchi. Ma è nel 2000 che tre monaci statunitensi si stabilirono a Norcia: per la città fu un giubileo dell’anima. I monaci non hanno mai smesso di pregare per la città e di dare assistenza materiale. Ed hanno inoltre dato un insegnamento di umiltà: padre Cassian, il priore prima del terremoto, ha abbandonato il suo incarico poco dopo il sisma, proprio mentre il mondo guardava a lui, indicando un giovane, padre Benedetto, per guidare il monastero in un momento in cui c’era bisogno di forze più fresche. Siamo grati a questa comunità, anche per averci aiutati a rafforzare il legame con San Benedetto. In un periodo in cui l’impero romano crollava, lui ha dato linfa all’Europa affinché potesse rinascere partendo dalle sue radici cristiane. È a lui che dobbiamo guardare ancora oggi”.