Mai più Aquarius

L'odissea dei 629 migranti a bordo dell'Aquarius potrebbe concludersi venerdì quando è previsto il suo arrivo (qualora il viaggio dovesse compiersi) nel porto di Valencia, in Spagna. Il caso dell’imbarcazione dell’ong “Sos Mediterranée” bloccata in mare a 27 miglia nautiche da Malta e 35 dall'Italia ha fatto il giro dei media. A fare rumore, però, non è stata tanto la sorte a cui sarebbero andate incontro le persone a bordo ma il braccio di ferro politico tra La Valletta e Roma. Mentre il ministro dell'Interno e vicepremier Matteo Salvini “alzava la voce” per farsi sentire dall'Europa, dal governo di Malta rispondevano che “la situazione non era di loro competenza”. Il risultato? 629 persone – tra cui 7 donne incinte, 11 bambini piccoli e 123 minori non accompagnati – già provate da lunghi mesi di viaggio rimaste bloccate in mare su una nave che, al massimo, può trasportarne 550, con viveri scarsi e nessuna certezza ma in preda alla disperazione. Cosa avrebbero dovuto fare l’Ue e gli altri Paesi membri? E La Chiesa? In Terris ne ha paralto con Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

Dopo una giornata di tensioni, la Spagna ha deciso di accogliere i migranti della nave Aquarius. Cosa si può fare per evitare che un caso del genere si ripeta?

“Bisogna intanto conoscere bene le leggi del diritto internazionale, è fondamentale capire cosa prevede. In sostanza si chiedeva a Malta, che è un paesino, una cosa che non era prevista. Secondo me la voce grossa non va fatta con i piccoli ma con le grandi potenze come Germania, Francia… Insomma i nostri politici dovrebbero trattare con l'Unione europea. Anche perchè il probelma si ripeterà. Ma, finalmente la Spagna ha fatto una scelta importante, come quella che l'Italia ha fatto fino ad ora. A me dispiace molto che delle persone, uomini, donne incinte e bambini non siano stati soccorsi e accolti dal nostro Paese. Però questa è la scelta del governo. Io, invece, penso che l'Italia è stata una maestra nell'accoglienza, anche se tutti a volte ne approfittavano. Il nostro Paese è stato grande nella difesa dei diritti umani e dovrebbe continuare a farlo e, allo stesso tempo, trattare con l'europa”.

L'Europa in questi anni molto spesso è rimasta in silenzio e ha pensto più a scaricare il peso dei flussi migratori sui Paesi del Mediterraneo piuttosto che salvaguardare i diritti di chi fugge da povertà e conflitti. Come esce da questa vicenda?

“L'Europa deve fare una riflessione molto seria e rifarsi alle radici cristiane che hanno fondato questa unione. Vuol dire un principio di solidarietà, di condivisione, di assunsione di responsabilità. I flussi vanno regolamentati e suddivisi tra i vari Stati membri. Non è pensabile, ed è molto grave, che ci siano dei Paesi che chiudano le frontiere unilateralmente. Vuol dire che l'Europa non ha un substrato culturale, come era in passato, fondato sulla salvaguardia dei diritti umani”.

La Chiesa, a livello europeo, sta facendo abbastanza per incentivare politiche di accoglienza? 

“In Italia ha fatto molto. In Europa, però, le singole conferenze episcopali potrebbero stimolare di più i governi dei propri Paesi, richiamandoli a fare il loro dovere. Ma in generale, la Chiesa potrebbe fare di più, come ha fatto qui da noi, dove ha dato una dimostrazione di accoglienza elevata”.

L'Apg è presente al confine tra Libano e Siria dove sono stati aperti dei corridoi umanitari. Come sta procedendo questa esperienza? Cosa si potrebbe fare per migliorarla?

“La nostra presenza in Libano continua e continuano ad arrivare anche famiglie attraverso i corridoi umanitari. E' ovvio che si tratta di un numero molto esiguo. Dovrebbe essere una linea sposata dall'intera Europa e allora sì che sarebbe un arrivo sicuro, con persone che arrivano già con i documenti. Mi spiego: quello che viene fatto qui in forma posticipata e sovente molto lenta (a volte ci vogliono un anno o due per capire se la persona ha diritto allo status di rifugiato) andrebbe fatto prima. I corridoi umanitari andrebbero sviluppati. La nostra presenza come Comunità è molto piccola, ma significativa, noi viviamo proprio in questi campi profughi”. 

Lo straniero viene sempre più spesso considerato un potenziale delinquente. Come si risolve questa conflittualità sociale?

“Inannzitutto è necessaria l'integrazione, che vuol dire dare lavoro, assicurare la scuola per i figli degli immigrati, chiedendo il rispetto dell'identità culturale del luogo dove vanno a vivere. Insomma è necessario un criterio di reciprocità. Il problema è che vengono lasciati soli dei Paesi mediterranei dove arrivano molti migranti e quindi l'integrazione può risultare difficile. Però, la sfida è proprio questa: raggiungere l'integrazione. Ma va tenuto a mente che non sono solo gli extracomunitari che delinquono. Ci sono molti italiani o europei che commettono reati”.