Da De Gasperi a Moro, le tappe fondamentali del sistema politico italiano fino ai nostri giorni

Ero ancora una ragazzina quando aspettavo, insieme a mio padre, che si facesse l’ora del telegiornale per avere notizie sul rapimento di Aldo Moro. Ricordo come quei cinquantacinque giorni del 1978, scanditi dalle poche e frammentarie informazioni fornite dai media, furono per me motivo di angoscia. Senza telefonini e internet si viveva con trepidazione il tragitto per rientrare a casa da scuola, nella speranza di un lieto fine. Che non arrivò. La miniserie Eterno notte, trasmessa di recente dalla Rai, ripercorre quelle tragiche giornate della Repubblica, in cui anche Papa Paolo VI si rivolse ai terroristi con accorati appelli nel tentativo di salvare la vita dell’amico Moro.

Le ragioni per cui lo statista democristiano venne condannato a morte, affidate a deliranti comunicati dalle Brigate Rosse, restano incomprensibili. Ora come allora. Al segretario della Democrazia cristiana, all’epoca il più grande partito politico, venne attribuita la colpa di voler perseguire con tenacia il progetto di inclusione dei comunisti nell’area di governo. Con il superamento di quella che un fine giurista, come Leopoldo Elia, definì nella voce forme di Governo dell’Enciclopedia del Diritto, con la felice espressione di Conventio ad excludendum.

Una convenzione costituzionale frutto di un accordo tra le forze politiche che prevedeva il cd. taglio delle ali estreme, con l’estromissione dall’area di governo del partito comunista e del movimento sociale italiano. Il compromesso storico, su cui Aldo Moro avrebbe voluto costruire future coalizioni tra DC e PCI, avrebbe offerto al partito comunista una occasione per riabilitarsi durante il periodo della guerra fredda.

Gli accadimenti di politica interna di allora vennero molto condizionati dal contesto internazionale. Gli anni che seguirono alla fine del secondo conflitto mondiale furono segnati da un clima di generale tensione determinato innanzitutto dal timore che, sconfitti i regimi nazifascisti, altri nemici della libertà dei popoli potessero attentare nuovamente alla pace tra le Nazioni. Del resto, anche le alleanze uscite vittoriose dalla guerra erano, in realtà, fittizie e legate alle contingenze geopolitiche del momento, realizzate con l’intento di liberare l’Europa dalle dittature nazifasciste. Terminata la situazione di emergenza, l’unione manifestò la sua interna fragilità e le potenze da sempre antagoniste si riposizionarono su punti antitetici rispetto agli assetti economici e istituzionali.

Il momento che inaugurò un periodo di “gelo” internazionale, destinato a durare quasi mezzo secolo, fu il discorso tenuto da Wiston Churchill a Fulton il 5 marzo del 1946. Sebbene dal 1945 non fosse più il Primo ministro della Corona britannica, l’influenza sulla scena mondiale del politico inglese era ancora molto alta e le parole pronunciate contro il regime comunista segnarono l’avvio ufficiale della guerra fredda. Churchill esternava la sua preoccupazione “per il pericolo che minaccia il focolare della gente comune, cioè la tirannia”, ed avvertiva che non si può rimanere “ciechi di fronte al fatto che le libertà godute dai singoli cittadini che fanno parte dell’impero britannico non sono valide in un numeroso gruppo di paesi, certi dei quali anche molto potenti”. In intere aree del mondo la gente è sottoposta al “controllo forzato di vari tipi di governi polizieschi, in maniera tale che è da considerarsi sbalorditivamente contraria a ogni principio democratico”. Parole di tremenda attualità che ci riportano alle autocrazie illiberali dei nostri giorni, Russia, Iran e Cina, per citarne alcune.

Negli Stati Uniti d’America, il 12 marzo 1947, gli faceva eco il Presidente Truman, con un annuncio in cui espresse la volontà di sostenere i popoli liberi che resistono ai tentativi di soggiogamento effettuati da parte di minoranze armate o pressioni esterne. Il colpo di Stato comunista a Praga nel febbraio del 1948 scosse profondamente l’intera Europa per i metodi di violenta eversione utilizzati. Lo scontro tra il mondo delle libertà e i territori del socialismo reale venne percepito in tutta la sua evidenza anche il Italia. Con la conseguenza che l’esecutivo presieduto da Alcide De Gasperi, formatosi nel maggio del 1947, vide l’allontanamento del partito comunista. Proprio il consolidamento dei governi centristi agevolò il definitivo inserimento del nostro Paese nell’area di influenza occidentale siglato con l’adesione del Patto Atlantico nell’aprile del 1949.

Trascorso quasi un trentennio, l’idea di Aldo Moro era di traghettare il sistema istituzionale italiano nel dopo guerra fredda. La fine della conventio ad excludendum avrebbe consentito un allargamento dell’area di governo, siglando un patto tra cattolici e sinistra. La brutalità dei suoi carnefici ha solo ritardato il programma di rinnovamento immaginato da Moro. Ma di lì a qualche decennio i propositi che avevano ispirato l’azione del leader democristiano si sarebbero avverati, modificando in modo radicale il volto della politica italiana. Il pensiero di Moro ha contribuito alla trasformazione del sistema di democrazia “bloccata” in una compiuta democrazia dell’alternanza. L’evoluzione della struttura politica ha consentito ai partiti, un tempo esclusi, di concorrere a pieno titolo alla determinazione della politica nazionale.

Alla fine del secondo Millennio, l’Italia sarebbe divenuta un Paese normale senza più nemici da abbattere ma avversari con cui competere per conquistare la guida del Governo, all’interno di un quadro di principi e ideali condivisi, siglati nella Costituzione repubblicana.