I pro-vita: “Consulta pilatesca”

C'era grande attesa ieri, quando la Corte costituzionale avrebbe dovuto decidere sulla questione di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, che punisce l'istigazione al suicidio, in merito alla vicenda di Marco Cappato, il leader radicale che nel febbraio 2017 accompagnò Dj Fabo a morire in una clinica svizzera in cui si pratica il suicidio assistito. Avrebbe, ma la Consulta alla fine non ha deciso, rimandando l'udienza al 24 settembre 2019 e rinviando il tema al Parlamento.

L'appello di Pro Vita ai partiti di maggioranza

Nel mondo dei “pro-vita” italiani l'atteggiamento dei giudici è stato criticato. Secondo Toni Brandi, presidente di Pro Vita Onlus, tra le associazioni promotrici del Family Day, “i giudici hanno deciso di non decidere”. Brandi ritiene che sia “un grave segnale la scelta della Corte Costituzionale di rinviare la decisione al Parlamento che dovrà legiferare sul suicidio assistito posticipando al 24 settembre 2019 la trattazione della questione di legittimità”. Avverte quindi il presidente di Pro Vita: “Noi, come forza pro-life e insieme alle tante realtà che difendono la vita, scenderemo in campo sensibilizzando e mobilitando quanti credono necessario proteggere i deboli dall'imminente strage”. Dunque Brandi rivolge un appello ai partiti di maggioranza “a non cadere nella trappola che trasformerà l’aiuto al suicidio nel dovere di morire, in nome di un falso pietismo e di un vero business sulla pelle dei disperati”.

Gambino: “Pericoloso modificare l'art. 580”

L'articolo 580 è difeso da Alberto Gambino, prorettore dell’Università Europea di Roma e presidente di Scienza & Vita, il quale ricorda che questo passaggio del codice penale “era stato pensato per evitare che davanti a momenti di debolezza e fragilità umana autodistruttivi si trovassero complicità, rompendo appunto quel legame di solidarietà che dovrebbe spingerci a farci carico del problema e non a rimuoverlo, assecondando l’intento suicidiario”. L'ipotesi che tale norma venga temperata è, secondo Gambino, “una prospettiva” che “presta il fianco a pericolose derive, prima tra tutte quella del collasso di un sistema giuridico – il nostro – che al centro mette la persona, e non la sua mera volontà”. Sulla stessa lunghezza d'onda il Centro Studi Rosario Livatino, il quale sottolinea  riguardo l'art. 580 che “la sua eliminazione avrebbe gravemente compromesso il diritto alla vita”.

MpV: “Decisione pilatesca”

Per Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano (Mpv), si tratta di una “decisione pilatesta” da parte dei giudici della Corte. “La Consulta, decidendo di non decidere se n'è lavata le mani mandando la palla al Parlamento dove già fremono istanze a favore dell'eutanasia e del suicidio assistito – osserva -. Un colpo basso che non fa altro che legittimare la cultura radicale a legiferare in maniera mortifera. Non è vero che manca la tutela di certe situazioni e che non c'è un bilanciamento. Nella pur discutibile legge sulle Dat il bilanciamento è già trovato. Tra l'altro nel programma di governo non sono a tema suicidio assistito e eutanasia“. Secondo la presidente del MpV, “con il caso Cappato si vuole introdurre qualcosa di diverso e cioè il principio della liceità giuridica di cagionare la morte su richiesta da parte di malati e disabili. Alla base c'è il criterio dell'efficienza produttiva, secondo cui una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore”. Ne segue un appello della Casini: “Bisogna che le forze parlamentari che hanno a cuore le persone malate o disabili e le loro famiglie contrastino questa mentalità eutanasica che in nome di un'autodeterminazione assolutizzata (caricatura dell'autentica libertà) pretende di recidere il più elementare vincolo di solidarietà umana: quello che riconosce sempre e comunque l'uguale dignità dell'altro e promuove autentiche relazioni di cura”.