Dispersione scolastica: l’Ue migliora, l’Italia arranca

Una delle principali emergenze della scuola italiana è la dispersione scolastica. L’Italia, soprattutto al Sud,  ha i numeri più alti di tutta Europa. Delle contromisure a lungo invocate (come un’anagrafe degli studenti collegata a Inps e tribunali) non se ne è fatto nulla. Un’emergenza che si compone di centinaia di storie di ragazzi, e dei loro genitori, che quest’estate hanno deciso di non ripresentarsi in classe.  

Un problema italiano

“Andare a scuola è un diritto, un dovere e per molti anche un obbligo – evidenzia Skuola.net -. Ma è proprio quando finisce il periodo dell’obbligo che nascono i problemi. Che hanno un nome comune: dispersione scolastica. Non si tratta solo di un problema italiano ma anche dei nostri vicini. Al punto che l’Europa si è posta l’obiettivo di ridurre il dato medio al 10% entro il 2020”. L’ultimo rapporto Eurostat certifica che a livello di Unione Europea siamo quasi vicini alla meta. Il parametro che si prende in considerazioni è il cosiddetto Elet (Early leaving from education and training), ovvero la quota dei giovani tra i 18 e i 24 anni d’età con solamente il titolo di scuola secondaria di I grado (da noi la licenza media) o una qualifica di durata non superiore ai 2 anni e non più in formazione. Per dirla in termini comprensibili ai più, ragazzi che non hanno terminato le scuole superiori o i cicli di formazione professionale regionali equiparabili.

Paese a due velocità

Secondo un approfondimento svolto da Skuola.net, i dati Eurostat mostrano uno scenario europeo buono e in continuo miglioramento di anno in anno (si è passati da un 11,9% di “dispersi” del 2013 al 10,6% del 2018). “Meno esaltante è il rendimento dell’Italia – riferisce il portale -. Il nostro Paese, infatti, dopo un periodo di lotta proficua alla dispersione scolastica si è fermato, rimanendo impantanato nella top 5 dei paesi con l’Elet più alto. Dove si toccano i picchi più? Nelle regioni del Sud, dove ormai siamo abituati a riportare il modello di un’Italia a due velocità praticamente su tutti gli indicatori educativi”.

Situazione critica nel Mezzogiorno

“In Italia siamo testimoni di un abbandono scolastico che nel 2018 si è attestato al 14,5% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni – puntualizza Skuola.net -. In altre parole, ciò vuol dire che su circa 3 milioni e mezzo di giovani italiani nella fascia d’età 18-24, mezzo milione circa ha mollato gli studi prima di conseguire una qualifica superiore alla prima media (o similare), senza risultare più “in formazione”. E se rispetto ai dati di un decennio prima (nel 2006 la nostra dispersione scolastica si attestava oltre il 20% dei ragazzi poco più che maggiorenni) dal 2016 in poi i successi conquistati si sono arenati su una soglia che varia di anno in anno di appena qualche decimo, ma che rimane statica attorno al 14%”. E se si mette come parametro che “l’Europa si è fissata l’obiettivo di far scendere l’Elet in tutto il vontinente, avvicinandolo gradualmente su un valore fisiologico pari al 10% (peraltro una missione quasi compiuta), andando a vedere il quadro di dettaglio delle singole regioni Italiane lo scenario che ne viene fuori è ancora più preoccupante”, precisa il portale.

Le cause

A pesare sulla media nazionale sono le regioni del Mezzogiorno. Secondo i più recenti dati Eurostat riportati dal ministero dell’Istruzione, delle sei regioni sopra la media nazionale (quindi peggiori), addirittura 5 sono concentrate al Sud, Isole comprese: sono Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna, Puglia (più Valle D'Aosta). E, scendendo ancora più nel particolare, in Sicilia i numeri vedono una dispersione scolastica che schizza al 23%, con punte che sfiorano il 30% considerando solo il campione maschile. Un elemento, quest’ultimo, ricorrente anche nelle altre regioni d’Italia, dove dappertutto sono proprio i maschi ad abbandonare più frequentemente gli studi.

Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna

Dietro di noi paesi come la Romania, che registra una dispersione scolastica al 16,4%, Malta col 17,5% e la Spagna, che con il 17,9% è il fanalino di coda continentale. “C’è comunque ben poco da gioire, visto che alcuni Paesi con cui siamo abituati a confrontarci “punto a punto” su tutte le questioni europee in ambito economico, sociale e politico, sono molto più avanti di noi, con livelli di abbandono scolastico più bassi rispetto al nostro e realmente in decrescita negli ultimi anni: sono la Grecia e il Portogallo, rispettivamente al 4% e all’11%- puntualizza Skuola.net -. Dati falsati da una visione “distante”? Tutt’altro. A confermare le statistiche Eurostat è anche un organo interno: l’anagrafe nazionale degli studenti, istituita nel 2005 per legge ed entrata in funzione a pieno regime nel 2010 per raccogliere le informazioni di tutti gli alunni che frequentano le scuole, statali e paritarie, del sistema nazionale di istruzione”.

La raccolta dei dati

Ogni singola istituzione scolastica, infatti, è tenuta a fornire l’esatta composizione delle classi, con l’indicazione degli alunni frequentanti, in modo tale da permettere all’anagrafe nazionale degli studenti di costituire uno strumento di monitoraggio e, di conseguenza, di stimolare l’adozione di strumenti per il contrasto alla dispersione scolastica. È proprio per questo che le istituzioni scolastiche (statali e paritarie) sono invitate ad aggiornare in tempo reale la frequenza scolastica, comunicando l’eventuale interruzione della frequenza di ogni singolo alunno o il trasferimento ad altra scuola.  “Ma oltre la forma c’è anche un problema di sostanza. Far arrivare i ragazzi al diploma non consiste di per sé in una garanzia di buon funzionamento del sistema scolastico – documenta Skuola.net -. Molti ragazzi, pur frequentando dall’inizio alla fine il percorso che li porta dalle elementari al diploma, dimostrano di avere forti carenze nelle competenze di base. Tecnicamente si parla di dispersione scolastica implicita”. A certificarla è soprattutto un indicatore: il risultato delle prove Invalsi, che valutano la preparazione degli studenti con una serie di test, in diverse materie, a seconda del livello di studi, uguali su scala nazionale. Nel 2019, ad esempio, hanno destato scalpore gli esiti delle prove svolte dagli alunni di quinto superiore: per quanto riguarda la conoscenza dell’Italiano, 1 diplomando su 3 non raggiunge la sufficienza in lettura, mentre 1 su 2 non è in grado di comprendere un testo; in matematica sono 2 su 5 a non arrivare alla sufficienza (il 60% è concentrato al Sud e sulle Isole). “Ciò vuol dire che ci sono ragazzi che, alla soglia della maturità, non possiedono le competenze in teoria richieste alla fine della terza media- precisa il portale-. Quanto basta per riflettere sull’opportunità di potenziare le politiche d’inclusione scolastica”.