Bambine scartate

Le violazioni dei diritti umani nel mondo sono tante e varie. Tra queste, vi è quella particolarmente odiosa dell'aborto selettivo ai danni delle bambine. Questa atroce pratica non riguarda solamente la Cina. Altri Paesi asiatici la favoriscono: tra questi il Pakistan, già fortemente gravato dalla diffusione del fondamentalismo islamico e dalla persecuzione delle minoranze religiose, in modo particolare dei cristiani.

Nella Giornata mondiale dei diritti umani, volgiamo l'attenzione verso il Pakistan per indagare sulla diffusione di questa pratica. Secondo l’Istituto di Ricerca sulla Popolazione Pakistana, gli aborti selettivi effettuati nel Paese in questo primo scorcio di secolo (2000-2014) sono stati oltre 1,2 milioni, con una media annuale di 116.384.

L'abominevole pratica contro le donne

Si tratta di un fenomeno culturale radicato nella popolazione, per il quale, se da un lato è difficile azzardare una correlazione diretta con i principi del Corano, dall’altro è innegabile che in Pakistan la mentalità maschilista incida profondamente sui tassi abortivi e condizioni profondamente anche le scelte delle donne, sovente costrette dai mariti ad agire contro la propria coscienza. Qualora, poi, la moglie si rifiuti di abortire, è il marito a uccidere la figlioletta appena nata o, nella migliore delle ipotesi, ad abbandonarla in una cesta per strada. Anche le donne, comunque, sono assuefatte a questo tipo di mentalità: quando rimangono incinte, normalmente, pregano che il loro bambino sia maschio, perché, così trovi benevolenza nella società.

Il fenomeno è favorito da una concezione antropologica per la quale la donna è sostanzialmente un peso per la collettività e ritenuta indegna di lavorare e studiare ma adatta soltanto a badare alla casa, alla famiglia e alla prole. In Pakistan, infatti, soltanto il 20% delle donne svolge un’attività retribuita. Inoltre gli accordi prematrimoniali prevedono in genere che i genitori dello sposo debbano pagare una dote piuttosto consistente alla famiglia della sposa e, quando essa non soddisfa le potenzialità della donna, l’uomo può rifiutarsi di portarla in casa propria oppure può scegliere di portarla in casa propria privandola però di tutta la dignità per il resto della sua vita.

Il Jeremiah Education Center

Sullo sfondo di questo genocidio silenzioso, pressoché ignorato dalle istituzioni e dai media, ha preso forma un’iniziativa coraggiosa e controcorrente: quella del Jeremiah Education Center di Lahore, che accoglie donne e bambine abbandonate o in fuga dalle proprie famiglie, tra cui gestanti desiderose di dare alla luce le loro creature, nonostante la disapprovazione dei familiari. La struttura si prefigge anche di: sensibilizzare l’opinione pubblica alla tutela della vita sin dal concepimento; contrastare il fenomeno sempre più dilagante dell’infanticidio femminile; fornire adeguata istruzione ai bambini e alle bambine le cui famiglie vessano in gravi condizioni economiche; fornire assistenza morale e materiale a quelle donne vittime di violenza e di abusi da parte di uomini senza scrupoli.

“Accogliamo donne vedove, separate, divorziate, che versano in condizioni economiche difficili, che hanno subito violenze e abusi e, in generale donne, che hanno bisogno di assistenza materiale e morale costante incluse quelle che non sono interessate a portare avanti la gravidanza e pensano che l’aborto sia la soluzione migliore”, racconta a In Terris Zarish Neno, 30enne cattolica, responsabile del Jeremiah Education Center. Donne che hanno già abortito non ne sono mai venute al Jec, tuttavia vi sono molte ospiti del centro che, grazie al sostegno degli operatori e dei volontari, “hanno desistito dal compiere questo passo, salvando la vita al loro bambino”, spiega Zarish.

La storia di Minahil

A tal proposito, la responsabile del Jec rammenta l’esemplare storia di Minahil, che “non venne festeggiata alla sua nascita perché non desiderata dal padre, dal quale non ricevette alcun abbraccio. Lui infatti aveva già quattro figlie femmine e pregava Dio perché potesse dargli un maschio ma ciò non avvenne. Deluso per tale motivo, il padre non voleva neppure tenerla in casa e in cuor suo pensò a come disfarsene…”. La vicenda ha avuto comunque un lieto fine: grazie al Jeremiah Education Centre, Minahil ha trovato una famiglia che l’ha adottata e che si prende cura di lei.

La legislazione sull'aborto in Pakistan

In Pakistan l’aborto è stato depenalizzato nel 1990 e si può effettuare entro e non oltre il quarto mese di gravidanza, salvo concreti rischi per la vita della madre o del feto. Al di fuori di tali parametri, la pratica abortiva è illegittima e perseguibile legalmente, tuttavia gli abusi e le violazioni sono assai comuni. “La donna che persegue questa strada infatti si rivolge a medici e infermieri compiacenti, corrispondendo somme in denaro oppure autosomministrandosi farmaci in grado di provocare aborti spontanei, mettendo in tal modo a rischio anche la propria vita”, sottolinea Zarish Neno.

Nesso tra Islam e aborto selettivo?

Sembrerebbe esservi, dunque, un nesso tra cultura islamica e aborto. “Nell’Islam si ritiene che il feto diventi un’anima vivente dopo quattro mesi di gravidanza e non vi sono Paesi a maggioranza musulmana che vietino completamente l’aborto, sebbene la legislazione non sia uniforme: in paesi come la Turchia e la Tunisia, l’aborto volontario è incondizionatamente legale, mentre in Iraq e in Egitto è legittimo solo se la vita della gestante è gravemente a rischio”, ricorda ancora la responsabile del Jec.

Nel caso specifico dell’aborto selettivo in base al sesso, oltre al Pakistan, vi sono altri Paesi a maggioranza islamica, che lo praticano: tra questi Azerbaijan e Tunisia, come conferma anche un rapporto dell’Asian Center for Human Rights, pubblicato nel 2016. Nel Paese caucasico, nel quinquennio 2005-2009, quasi il 10% dei feti femminili sono stati abortiti secondo il criterio della selezione in base al sesso, mentre nel biennio 2011-2012, tra i nati vivi, il rapporto è di 116 maschi ogni 100 femmine. Quanto alla Tunisia, il medesimo rapporto è di 107 maschi ogni 100 femmine. Nel Paese nordafricano, tra il 2000 e il 2014 sono stati praticati 19.369 aborti selettivi in base al sesso, con una media di 1291 all’anno e 3,5 al giorno.