Aporofobia, perché si ha paura dei poveri

L'aporofobia è una paura dei nostri tempi, di ampiezza mondiale, in cui l’individuo rifiuta e distanzia i poveri per non esserne “contagiato”. Qualcuno la definisce come un male nuovo ma la storia insegna che tali timori e avversioni si sono sempre avvertiti nei secoli scorsi; ora, purtroppo, sono in aumento, in relazione alla crisi economica e all’incremento delle fasce povere della popolazione.

La povertà non è una colpa

Se il Cristianesimo ha, innegabilmente, slegato la povertà dal concetto di colpa (avvertita sia dal povero che accettava remissivo la condizione sia dal resto della comunità che lo bollava come tale) e di maledizione inferta, ribaltando completamente l’impostazione (a dispetto dei ricchi sereni nel loro mondo dorato e benedetto), il materialismo arido del mondo moderno riduce tutto a una nota “guerra fra poveri” o, più propriamente, a una maggiore distanza frapposta da chi è un gradino sopra ma teme di essere risucchiato tra gli indigenti.

Aporofobia e Xenofobia: le differenze

Ai nuovi poveri italiani (tra cui i padri separati o divorziati e i disoccupati), si contrappone il terrore di chi non lo è ancora: quasi una “paura di contrarre la stessa malattia”. Il tutto si risolve evitando di frequentare persone non abbienti per non “infettare le proprie certezze” e non mostrarsi con essi al prossimo. L’aporofobia si differenzia dalla xenofobia poiché nutre avversione solo nei confronti dello straniero indigente. Lo straniero ricco (un imprenditore, un politico, un cantante, un calciatore, un attore) non fa paura, anzi il suo prestigio è posto a modello. Accanto alla fobia per la povertà si lega l’ossessione del risparmio (altrimenti definita “iperopia”): unico scopo della vita è accantonare denaro poiché terrorizzati dall’attuale crisi economica e dal rischio di scivolare nella povertà. Induce a comportamenti reprimenti, di pesante rammarico per ogni spesa (anche quelle inevitabili), fino a giungere a un grave stato di depressione.

Il principio del disprezzo

Ciò che terrorizza l’uomo comune non è solo il povero, il clochard: altro elemento terrificante e al principio del disprezzo è quello dell’indisponibilità a ottenere beni e servizi. Nell’attuale società del consumo, tale soglia di prossimità alla povertà, di “mediocrità consumistica” indigna e allarma colui che può spendere e capitalizzare al meglio (e nel modo più materialista) il carpe diem moderno. La citazione di Gandhi “La povertà è la peggiore forma di violenza” esprimeva, in modo esauriente, l’impossibilità per i poveri di accedere ai minimi diritti umani, relativi a salute, lavoro e istruzione, frutto della perversa volontà di non avviare qualsiasi “ascensore sociale”.

Gli studi

La filosofa spagnola Adela Cortina Orts, autrice del volume “Aporofobia, el rechazo al pobre: un desafío para la democracia” (Aporofobia, il rifiuto del povero: una sfida per la democrazia), pubblicato nel 2017 da Paidós Estado Y Sociedad, ammonisce sul degrado di una società spaventata dal povero che sembra minarne le basi e di attentare alle proprietà e alle certezze (anche materiali) consolidate. L’Istituto Nazionale di Statistica, nel Rapporto sui Sustainable Development Goals (SDGs) 2019 per l’Agenda 2030 (porre fine alla povertà, proteggere il pianeta e assicurare prosperità a tutti entro il 2030),  afferma “In Italia la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 28,9%, in diminuzione rispetto all’anno precedente. […] La povertà di reddito riguarda il 20,3% della popolazione; la grave deprivazione materiale il 10,1% e la quota di chi vive in famiglie con una intensità di lavoro molto bassa è del 11,8%. La situazione appare in miglioramento, ma le disparità regionali sono molto ampie”. L’Eurostat, l’ufficio statistico dell’UE ha confermato, il 4 settembre scorso, come gli italiani a rischio povertà ed esclusione sociale, pur avendo un’occupazione, nel 2018 siano stati 16,4 milioni; si tratta del 27,3% della popolazione, nonostante un calo: nel 2017 erano il 28,9%.

La necessità di analizzare il fenomeno

Occorre analizzare il fenomeno cercando di cogliere aspetti interessanti, individuare soluzioni materiali e culturali senza scadere nella retorica e nell’ipocrisia. Diventare “meno abbienti” implica un ridimensionamento materiale e una rivisitazione mentale che non necessariamente può essere negativa poiché rivolta alla giusta valutazione delle priorità e all’attenzione verso i valori più profondi, dell’interiore contro l’esteriore. La paura della povertà spinge a comportamenti di basso profilo, irrazionali ed egoistici nei confronti del prossimo, ritenuto un pericoloso concorrente, soprattutto se economicamente allo stesso livello. I contraccolpi mentali, tuttavia, che il soggetto vittima di aporofobia non comprende poiché proiettato solo al rischio materiale e finanziario, sono devastanti e si ricollegano a un pessimismo diffuso, alla rinuncia al pensiero e all’azione, alla demotivazione, all’isolamento, alla tristezza, all’inerzia e, nei casi più gravi, alla depressione e agli istinti suicidi. Il collante sociale e la solidarietà umana sono gli antidoti a tali degenerazioni. Distanziare un povero non garantisce allo stolto abbiente il suo “voler esserne fuori”; paradossalmente lo fa già vivere in uno stato di povertà: quella morale e spirituale, ben più grave.