A casa dei disabili la vita è sempre un valore

Il televisore è acceso a casa di Giuseppe Santarelli. Come ogni mattina suo figlio Diego, 48 anni con sindrome di Down, si sta preparando per andare al supermercato dove lavora. Butta un orecchio a un talk show nel quale si spiega la sentenza con cui la Corte Costituzionale apre al suicidio assistito e all’eutanasia attiva. “Ma questi sono matti!”, commenta Diego Santarelli. In Terris ha deciso di raccontare il pronunciamento della Consulta da un punto di vista particolare: quello di chi ogni giorno condivide le difficoltà, le gioie e le speranze della condizione di disabilità.

Attaccamento alla vita

Da quando è piccolo i genitori lo seguono con totale dedizione e lui è “molto attaccato alla vita”, racconta il padre. “Ha una comitiva di amici con cui va al ristorante e a passeggiare in centro, è sereno e ama molto il suo lavoro e noi genitori ne siamo contentissimi”, aggiunge il papà che ogni mattina lo accompagna in macchina a lavoro e poi lo va a riprendere al termine del suo orario quotidiano. Antonio Massacci vive a Jesi, in provincia di Ancona, presiede l’onlus Anffas, l’associazione delle famiglie di disabili intellettivi. Suo figlio Giorgio, 37 anni, soffre di un’epilessia farmacoresistente che gli impedisce di memorizzare ciò che apprende.  

Supremo valore

“Ogni volta deve apprendere tutto daccapo – afferma Antonio Massacci -. Giorgio ha bisogno di essere assistito 24 ore su 24 da personale qualificato, ma se non gli si procura sofferenza, non soffre. E’ felice, dolce, sorridente. Non ha coscienza dell’eutanasia, non ci pensa assolutamente. Non è neppure sfiorato dall’idea che si possa farvi ricorso. Giorgio vive con i volti e gli sguardi di chi è attorno a lui. Se chi è con lui non grida, non è nervoso, non trasmette malessere, Giorgio si trova in una situazione di benessere”. Antonio Massacci ricostruisce le esperienze di altri nuclei familiari come il suo e assicura: “Dipende dal livello di coscienza, ma chiunque viva una condizione di disabilità vuole vivere e difende il supremo valore della vita”. E aggiunge: “Le persone con disabilità non sono un peso per la società, anzi sono un patrimonio immenso per l’umanità perché ci rendono consapevoli di quanto sia prezioso il nostro benessere”. Un esempio è significativo a questo riguardo: “Una persona paraplegica, con una paralisi o un’amputazione non ha sofferenza fisica, ma soffre l'abbandono, le barriere e il rifiuto della società”.

Come Zanardi

Il modello è l’ex pilota automobilistico e atleta paralimpico Alex Zanardi, vittima di un gravissimo incidente di gara che gli ha provocato l’amputazione delle gambe: “Valorizza ciò che ha, non rimpiange ciò che non ha più”. Già nella legge sul fine vite, Massacci aveva evidenziato la necessità di considerare la proporzionalità delle cure, evitando l’accanimento terapeutico. “Naturalmente viviamo, naturalmente moriamo”, osserva. Massacci ha approfondito anche la norma del 2016 sul “dopo di noi”, che con i suoi trust, i suoi fondi vincolati, le sue agevolazioni fiscali per le assicurazioni fino a 750 euro, la sua “deistituzionalizzazione” (strutture monstre sostituite da case famiglia) e i suoi cohousing, avrebbe dovuto garantire un supporto ai disabili quando i loro familiari non ci saranno più. Ma il concetto fondamentale è: “No all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico”.

No alla “dolce morte”

Massacci cita Papa Francesco. “Gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute – afferma -. Occorre quindi un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona” E per la Chiesa “uno spazio adeguato” deve essere dato “alla dignità dell'essere umano”, per “evitare accanimento terapeutico che non è eutanasia”.