Terremoto e coronavirus, il ricordo si fa preghiera

Non si può dimenticare quella notte tremenda tra il 5 e il 6 aprile del 2009, dove una scossa in modo particolare delle 3:32 ha fatto fermare le lancette dell’orologio e il cuore di tanti aquilani. Un mio amico giornalista, Giustino Parisse, che perse il padre e i suoi due figli, anni fa scrisse una bellissima lettera a sua figlia in Cielo concludendo con queste parole: «Pochi giorni prima del terremoto mi avevi chiesto: perché un giorno non ci facciamo una passeggiata? Nella tua voce c’era una sottile ironia. Sapevi che anche per fare poche centinaia di metri prendevo la macchina. Eppure quella passeggiata che non ho fatto con te è uno dei tormenti delle mie notti. Quando tutto fila liscio sembra che non ci sia mai tempo per fare le cose importanti. Poi, quando le cose importanti ti vengono a mancare ti accorgi di quanto era vuota la tua vita mentre inseguivi il nulla correndo di qua e di là come una trottola».

Diamo nella vita tutto per scontato e dovuto, ma niente è scontato e dovuto. Dopo il terremoto, ma anche dopo questa pandemia del coronavirus: l’andare a trovare i familiari, il caffè al bar, la pizza con gli amici, il partecipare alla Santa Messa, gli abbracci, le passeggiate in mezzo alla natura, il lavoro, le relazioni umane, le risate in compagnia e tutti i momenti vissuti insieme avranno tutto un’altro sapore. E’ vero proprio che nella vita le mancanze, alle volte, ti fanno riscoprire le presenze. Quando qualcuno o qualcosa ci manca, ritorna il desiderio che etimologicamente significa mancanza delle stelle, cioè di luce, di amore e di pace. Ogni trauma è una ferita aperta dove o si può continuare a buttare sangue da fuori, oppure la ferita può diventare una feritoia di luce che trasforma il male in bene e la sofferenza in risorsa. Cosa impariamo dalle difficoltà, dagli ostacoli, dai terremoti, dalle malattie e dai nemici? Nella vita gli opposti ci insegnano e diventano alle volte maestri di vita. Ad esempio un nemico non ti fa montare la testa, ti fa rimanere umile e ti fa lavorare su te stesso esercitando la pazienza e il perdono che sono le virtù fondamentale per crescere umanamente e spiritualmente nella vita. Una malattia cosa ci insegna? La preziosità della vita, della famiglia, l’abbandono del delirio di onnipotenza, il chiedere aiuto agli altri, l’essere piccoli, fragili e deboli. Un terremoto cosa c’insegna? Quello di ricostruire ogni giorno la casa del nostro cuore con i mattoni della preghiera e dell’amore e che la tua vita è un dono, non può franare ed essere distrutta se hai Dio dentro. Concludo con questa mia preghiera:

Aprici gli occhi Signore, anche quando si chiudono, per non guardare la realtà.
Aprici gli occhi Signore, anche quando hanno il sonno della pigrizia e dell’indifferenza.
Aprici gli occhi Signore, anche quando si chiudono nel nostro egoismo.
Aprici gli occhi Signore, davanti a chi soffre, a chi ci chiede aiuto e chi vuole una parola di speranza.
Aprici gli occhi Signore, affinché non dormiamo in eterno, ma siamo sempre svegli alla risurrezione.