L’uomo e la materia, una simbiosi inseparabile

Le conquiste attuali della fisica quantistica hanno sgretolato il mondo come lo vediamo: concreto, reale, statico, solido, immutabile, per presentarci una realtà che facciamo fatica ad immaginare; gli oggetti non sono tali ma siamo noi a vederli come ci appaiono, il mondo non è il meraviglioso acquerello di colori che vediamo poiché i colori sono la scomposizione della luce secondo la capacità dell’occhio umano di percepirla, le categorie culturali che abbiamo selezionato per la comprensione intellettiva non appartengono al mondo naturale, alle cose.

Un sasso è tale perché lo separiamo concettualmente dal contesto in cui si trova e lo pensiamo in maniera definita ma tale non è senza il nostro elaborato intellettuale: è parte degli elementi che in quel momento (né un attimo prima né un attimo dopo) si trovano aggregati in quella condizione, assolutamente instabili poiché le cause che hanno determinato quella istantanea condizione continuano a svolgere la loro azione incessantemente e solo il nostro pensiero ferma i processi che invece sono in continuo movimento.

Senza colori, senza oggetti, senza sosta. Questo è sicuramente il mondo se la fisica, la scienza cioè che ne studia le leggi, ha raggiunto queste convinzioni e non pare ci sia motivo di discostarsene, almeno su basi scientifiche, prendendo atto degli studi e delle osservazioni che gli scienziati hanno svolto. Siamo uomini, facciamo certamente parte della natura, siamo anche noi soggetti alle stesse regole della materia che si sta disgregando sotto i colpi della scienza: il meccanicismo settecentesco è definitivamente crollato con gli studi del novecento sui quanti, come spiega bene Carlo Rovelli anche nel suo ultimo Helgoland dedicato a Werner Heisenberg, il giovane fisico che nel 1925 intuisce l’interferenza dell’osservazione nella conoscenza aprendo la strada alla relazione tra l’oggetto ed il soggetto che lo osserva, così legando in modo indissolubile l’osservatore e l’osservato e trasformando la realtà materiale in fenomeni, apparenze appunto.

Il libro è un viaggio affascinante nel mondo concreto per smontarne le regole alle quali siamo abituati a credere: non c’è nulla di oggettivo nella materia reale che siamo abituati a pensare come altro da noi ma siamo in indissolubile relazione con essa tanto da influenzarci a vicenda; la materia è la nostra visione di essa e noi siamo la materia che vediamo, in una simbiosi inseparabile. Questa relazione è evidente negli oggetti che vengono costruiti: ad esempio, una sedia è tale perché alcuni pezzi di legno sono montati in maniera da realizzare un oggetto fatto di gambe, sedile e schienale in relazione alla funzione che le viene attribuita di consentire la seduta di una persona e, quindi, l’oggetto esiste per la sua unità funzionale, altrimenti sono pezzi di legno.

E’ la funzione, quindi, che realizza la materia costruita, è lo scopo per cui viene realizzata che gliene dà esistenza. Ma anche un sasso, che esiste in natura, è tale in relazione alla sua funzione (di essere lanciato, di adornare, di pesare od anche solo di essere raccolto) altrimenti, privo di funzione teleologica, è parte di altro (la montagna, la spiaggia) ed a sua volta aggregato di altro (gli elementi che lo compongono) e svolge il proprio compito in relazione a ciò di cui è composto ed a ciò di cui fa parte.

A ben vedere, è la funzione teleologica che lo individua e lo riduce ad unità, lo categorizza, lo specifica: in assenza dell’intervento umano è solo un particolare stato della sua funzione in relazione a ciò di cui è composto ed a ciò di cui era parte, in continua evoluzione. Sembra questa la chiave di lettura del mondo: la sua evoluzione, poiché tutto è in continua trasformazione, da uno stadio all’altro, come intuì Lavoisier nella seconda metà del XVIII secolo.

Mezzo secolo dopo, con le sue scoperte Darwin ha sovvertito millenni di illusioni mitiche spalancando le porte alla crescita funzionale, scomponendo l’unità in utilità funzionale: tutto si evolve in relazione alla funzione che ha, anche l’uomo, prodotto della selezione naturale secondo l’utilità della sopravvivenza. L’uomo non può conoscere come osservatore esterno la realtà di cui fa parte poiché ne fa parte e la sua visione è limitata dalle sue capacità, certamente inadeguate ad osservare l’intero universo ed oltre di esso.

Ma il suo punto di vista è relativo, come ben noto: ci sembra di essere fermi sulla terra immobile sotto un cielo azzurro ed invece viaggiamo lanciati a velocità sorprendente su di una sfera che gira nel buio, vanificando i concetti spaziali di sopra e sotto. Eppure qualcuno dubita della teoria evolutiva poiché le scimmie esistono ancora e non si sa perché alcune si sarebbero evolute ed altre non riescono ad evolversi né sembra abbiano imboccato la strada giusta per farlo; qualcun altro vede che l’uomo non è abile alla sopravvivenza rispetto ai suoi supposti antenati, in mancanza di strumenti utili; sembrerebbe allora che lo sviluppo delle capacità intellettive e la realizzazione di attrezzi di lavoro abbia fatto regredire le capacità naturali di procurarsi il cibo: la scimmia sale sull’albero e si procura il cibo, l’uomo non riesce!

Se deriva dalla scimmia, ha perso le capacità pratiche nell’evoluzione dell’intelletto, sovvertendole con gli strumenti, oppure la scimmia si è involuta, almeno sul punto. Altri vedono che alla specie umana mancano elementi naturali fondamentali per la sopravvivenza: il parto è naturale per tutti i mammiferi mentre per l’uomo è un travaglio non solo fisico che sovente, in mancanza di adeguata assistenza, ha esiti letali; l’uomo non digerisce i cibi crudi, se non con fatica e senza trarne adeguato nutrimento; abbisogna di una dieta composita senza predilezione per nessun alimento in particolare; è impossibilitato strutturalmente a resistere all’ambiente che lo circonda, se non mediante l’ausilio di supporti adeguati tecnicamente realizzati; si distingue dagli animali per la sua capacità di elaborare i pensieri oltre gli istinti per la propria sopravvivenza.

Tutto questo Darwin non lo ha spiegato, ma aveva già fatto tanto e gliene va dato atto; i suoi successori non sono riusciti a proseguire nel solco tracciato dai suoi studi, impegnati com’erano nella distruzione delle convinzioni religiose sulla creazione del mondo. Forse qualcosa non quadra. L’uomo è certamente proiettato nella stessa natura che osserva e ne influenza le leggi sia con la sua osservazione sia con la sua stessa esistenza, stante l’inseparabile connessione che accomuna i processi evolutivi.

Ma osserviamo che mentre tutti gli altri elementi che compongono la natura hanno una loro evoluzione condizionata unicamente dalla loro attività riproduttiva, l’uomo invece ha una sua particolare crescita evolutiva ed il suo percorso sembra essere direzionato verso lo sviluppo ed il miglioramento delle proprie condizioni; questa sostanziale differenza, possiamo dire teleologica, produce la crescita, non solo delle popolazioni ma anche del loro pensiero, del loro sentire, delle loro facoltà sentimentali che saranno pur biologiche e neurologiche ma crescono con l’uomo, si raffinano, vanno avanti. Dove? Lo sa Iddio.