Studiare la storia del Parlamento per capire il suo valore

Lo studio del Parlamento non va impostato limitandosi al solo dato normativo, bensì è necessario partire dallo studio – anche se breve – della storia del Parlamento per comprenderne il valore. Nel corso della storia, con il termine Parlamento si è fatto riferimento ad una pluralità di istituzioni notevolmente diverse fra loro, ma caratterizzate da un’origine comune, rappresentata da una molteplicità di individui riuniti al fine di trattare affari politici o amministrativi. L’istituzione parlamentare trae origine, per trasformazione e sviluppo, dalla vecchia assemblea feudale che coadiuvava gli organi di governo, fossero essi il sovrano o i reggenti del comune, nell’espletamento delle loro funzioni legislative o amministrative.

Colloquia, curiae, consilia o parlamento, erano termini che indicavano, nell’età medievale, le riunioni solenni delle corti e dei consigli regi, cui partecipavano i maggiori feudatari e dignitari ecclesiastici e laici. Tali assemblee non erano un corpo organizzato, ma un’occasione d’incontro, un luogo in cui si discuteva, si esprimevano delle opinioni e, all’occorrenza, si adottavano le decisioni. Tra il XII e il XIV secolo, parallelamente al processo di progressivo allargamento della composizione di tali riunioni, si assiste all’evoluzione verso assemblee rappresentative aventi rilievo più propriamente pubblicistico, che si traduce essenzialmente nella modifica da organi di assistenza e consiglio dell’attività sovrana a organi di controllo e freno della stessa. Delle innumerevoli riunioni, sorte soprattutto tra il XII e XIII secolo, le sole entità collettive, rappresentative, deliberative ed espressione direttamente o indirettamente della compagine statale, meritano la qualifica di Parlamenti, escludendo quelle riunioni mere entità di fatto prive di competenza a deliberare. Tra il XIII e XIV secolo, i cosiddetti Stati regionali, la Sardegna, la Sicilia, il Regno di Napoli possedevano tutti un proprio Parlamento, diverso per funzioni e composizioni. Inoltre, si svilupparono le assemblee degli Stati-città: organismi affini alle assemblee parlamentari, dotati di specifiche competenze, a volte come per il Senato Veneto, di particolare importanza. Ma questa pluralità di istituzioni fu spazzata via dall’avvento dell’assolutismo tra il XVI e XVIII secolo. Il nome dell’istituzione parlamentare è legato alla lotta che essa dovette sostenere ai suoi inizi per affermarsi nei confronti del potere del re. Insieme alla conquista delle diverse prerogative parlamentari (come la verifica dei poteri e le immunità parlamentare), la definizione giuridica del Parlamento serviva a garantirgli l’indipendenza nei confronti di tutti gli altri poteri.

In seguito alla caduta dei regimi assoluti e delle vecchie oligarchie, nella seconda metà dell’800, si posero le fondamenta dello Stato moderno, costruito attorno all’istituzione parlamentare e caratterizzato dai principi dello Stato liberale. Il Parlamento subalpino costituì il punto di partenza del Parlamento del Regno d’Italia, del quale a sua volta l’attuale Parlamento repubblicano è la prosecuzione. In comune questi diversi istituti della storia del diritto italiano avevano il modello inglese, così come trapiantato nel resto d’Europa. Dopo la Seconda guerra mondiale, nel delicato passaggio dalla Monarchia alla Repubblica si nota una sostanziale continuità storica tra il modello del Parlamento del Regno d’Italia e quello del Parlamento della Repubblica, oltre ad una fondamentale eredità nella struttura e nelle funzioni dell’organo.

Se è possibile tracciare la storia del Parlamento, come organismo assembleare, non è altrettanto facile darne un’unica definizione. L’essenziale è che ogni istituzione abbia un proprio nome: le istituzioni umane non esistono veramente se non quando esse hanno ricevuto un nome; perciò, ragionando al contrario, le istituzioni che hanno ricevuto un nome esistono realmente e sono identificabili attraverso le proprie denominazioni. La scelta compiuta dal Costituente, tuttora immutata, è la conferma del modello dell’unico Parlamento costituito da due Camere equiparate, escludendo quindi di poter estendere agli organi di rappresentanza regionale il nomen iuris e il valore del Parlamento. Come sostiene Manzella: “il concetto di “Parlamento”, come istituzione collegiale intermedia tra l’intero popolo costitutivo di una comunità e coloro che di questa comunità hanno (per forza, per elezione, per diritto divino) la direzione, è un dato comune di antropologia culturale”.

Il nomen Parlamento non possiede un valore puramente lessicale, ma ha in sé una valenza essenziale. L’utilizzo illegittimo del termine giuridico “Parlamento” non può lasciare indifferente il sistema costituzionale. Il Parlamento ha la funzione di definire i valori costituzionalmente sostanziali, gli interessi diffusi non particolareggiati, la cultura nazionale, difendendoli dai processi localistici. Il mandato generale, legittimante il Parlamento, pur essendo strutturato a carattere territoriale (per le circoscrizioni elettorali), conferisce al Parlamento una funzione di unitarietà, che assume una forma di coordinamento delle rappresentanze e delle autonomie diffuse nel territorio nazionale. Il Parlamento è riconosciuto come indispensabile struttura di integrazione del pluralismo nell’unità, del molteplice nell’uno.

La principale caratteristica della composizione del nostro Parlamento è la distinzione dell’organo stesso in due assemblee. Il bicameralismo ha una funzione di completamento e integrazione della rappresentanza politica, necessario soprattutto in ordinamenti caratterizzati da notevole complessità politica e scarsa omogeneità sociale.