Ecco la strada indicata dalle parole di Draghi

Potrebbe sembrare un discorso quasi banale, quello tenuto da Mario Draghi in apertura al Meeting di Rimini, ma nella quasi ovvietà degli argomenti trattati sta la forza del messaggio che l’ex Governatore della BCE ha voluto veicolare attraverso i microfoni.

Non è sicuramente piacevole ricordare la crisi economica che colpì il mondo dodici anni fa e ancor meno accorgersi che poco dopo che fiducia e investimenti avevano permesso di riagguantare il trend secolare di crescita si è manifestato con tutta la sua forza il “cigno nero” rappresentato dalla pandemia in atto.

Ancor più dei fatti di oltre un decennio fa abbiamo assistito in pochi mesi a una brusca correzione dei dati economici di tutti gli stati al mondo, non solo dovuti alle misure di contenimento dei contagi ma anche e soprattutto a un mutato atteggiamento verso il futuro, a un cambiamento radicale delle aspettative che hanno fatto crollare consumi e investimenti.

“La società nel suo complesso non può accettare un mondo senza speranza; ma deve, raccolte tutte le proprie energie, e ritrovato un comune sentire, cercare la strada della ricostruzione.”

In queste parole e nella citazione della “preghiera per la serenità” di Reinhold Niebuhr che chiede a Dio “Dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, Il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza di capire la differenza” sta il perno del ragionamento che di dipana nel discorso.

Speranza, coraggio e cambiamento sono i tre punti chiave per rilanciare il mondo dopo la batosta subita in questi mesi.

La speranza in un futuro migliore che si coniuga con un miglioramento delle aspettative e, di conseguenza delle decisioni di spesa e di investimento, per privati ed aziende e il coraggio di fare delle scelte per poter giungere al cambiamento di quello che deve essere modificato o che deve evolversi uniti a una propensione ad accettare questi cambiamenti anche se ci spingessero fuori dalla nostra comfort zone per migliorare anche solo noi stessi, cioè.

Come già detto prima e come è stato scritto su queste pagine qualche giorno fa, il “cigno nero” ha colpito duramente, provocando una recessione come mai si era vista prima in tempo di pace, ben peggiore a quella del 1929, e tutte le istituzioni hanno messo in campo degli interventi straordinari per sostenere l’economia ed evitare che questa si trasformi in depressione ma, come fa giustamente notare Draghi, “l’emergenza e i provvedimenti da essa giustificati non dureranno per sempre” ed è giunto il momento per decidere che futuro vorremmo e investire nella sua realizzazione.

La pandemia ha accelerato il percorso che già era stato imboccato per la riforma degli assetti oggi vigenti nel mondo, dalle regole sui commerci internazionali, al clima e financo alle istituzioni di governance stesse per permettere di attuare celermente quelle correzioni che portino a un maggiore pragmatismo nell’azione e nella pianificazione delle politiche economiche.

Questo perché le misure straordinarie messe in campo per fronteggiare la pandemia e le sue conseguenze hanno imposto una crescita abnorme del debito pubblico che, come si desume dal motto TANSTAAFL più volte citato su queste pagine, prima o poi andrà ripagato.

Il debito, come ricorda Draghi, altro non è che un differimento delle imposte al futuro, scommettendo sulla crescita, solitamente, che ne riduce l’impatto sui conti nazionali ma, in ogni caso, si tratta di cifre che peseranno sui giovani di oggi che, domani, saranno parte della vita lavorativa e produttiva delle nazioni.

Anche qui, come ricordato più volte, il debito non è un male in sé ma è come esso venga usato che può diventare un elemento negativo oppure una risorsa.

Mario Draghi, infatti, fa un’importante distinzione in merito quando afferma “Questo debito, sottoscritto da Paesi, istituzioni, mercati e risparmiatori, sarà sostenibile, continuerà cioè a essere sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca ecc. se è cioè “debito buono”. La sua sostenibilità verrà meno se invece verrà utilizzato per fini improduttivi, se sarà considerato “debito cattivo”. I bassi tassi di interesse non sono di per sé una garanzia di sostenibilità: la percezione della qualità del debito contratto è altrettanto importante. Quanto più questa percezione si deteriora tanto più incerto diviene il quadro di riferimento con effetti sull’occupazione, l’investimento e i consumi.”

Il passaggio è un po’ lungo ma estremamente significativo perché in esso è indicata la differenza fondamentale che esista tra un debito sostenibile, quindi un “finanziamento” per investimenti, e un debito zavorra, quello contratto per spesa corrente e meri sussidi cioè.

Le caratteristiche finanziarie del debito contratto non sono di per sé garanzia di qualità dello stesso, non basta una ridotta servitù che discende dai tassi d’interesse applicati ma il punto fondante è la destinazione delle risorse acquisite tramite indebitamento; cosa questa che impatta direttamente sulle aspettative per il futuro con conseguenze dirette in ogni comparto economico.

L’investimento è il discrimine per la percezione della qualità del debito e per la sua futura sostenibilità che non vada a impattare sulla crescita poiché il ritorno ad essa è l’imperativo principale.

Il paradigma, però, è cambiato e la ricerca di una nuova produttività che sfoci nella crescita economica non può prescindere da un vincolo di sostenibilità ambientale, oltre che finanziaria, e da un vincolo ulteriore di rispetto della persona poiché per superare l’incertezza e lo sfaldamento sociale che la pandemia ha acuito ognuno deve poter fare al meglio la sua parte, lavorando, consumando e investendo ma solo se le aspettative fossero buone questo potrà avvenire.

Tante cose cambieranno, i modelli produttivi, le modalità di lavoro, il lavoro stesso non sarà più come prima, anche se la transizione potrebbe non essere così veloce in alcuni settori; il tutto per rispondere alle nuove esigenze dell’umanità.

In questa prospettiva si fonda il più importante nucleo di investimenti che devono essere implementati e resi efficienti: quelli sul capitale umano.

Si parla, ovviamente, di ricerca e istruzione che rappresentano da sempre il vero e più importante investimento sul futuro, sui giovani di oggi e su quelli che verranno.

Come già si è detto la mole di debito contratto peserà sul futuro delle generazioni più giovani che saranno chiamate a ripianarlo e rubare il futuro, come dalle parole stesse di Draghi, è la più grave forma di disuguaglianza.

Per queste ragioni i giovani saranno obbligati ad essere molto più flessibili di chi li abbia preceduti con grandi capacità critiche e di adattamento e compito di chi, oggi, faccia parte delle classi dirigenti è quello di dotarli degli strumenti per poter affrontare le sfide che il domani mostrerà loro.

Nell’esortazione a investire nei giovani sta tutto il messaggio di speranza diffuso dal palco di Rimini, perché è progettando il domani che si può trovare la rotta corretta per il presente e il futuro lo disegni preparando le nuove generazioni ad affrontarlo con mezzi adatti che discendono dalle decisioni prese oggi e non rimandate a data da destinarsi.