Ecco perchè sentiamo nel cuore la giustizia

Ho lasciato per ultima la giustizia poiché tra le virtù è indubbiamente la più sentita e la più antica; basti sfogliare le pagine bibliche più datate per trovare numerosi esempi dell’idea di giustizia; e pure nel mondo sumerico esiste la «giusta guerra», atta a ripristinare un ordine che basa il suo paradigma nella volontà divina (P. Mander, La difesa del debole e la giustizia nella civiltà sumerica, Pisa, 1999).

La giustizia è una delle parole da sempre più utilizzate poiché determina la misura nelle relazioni tra le persone, che devono essere mantenute in equilibrio tra i contrapposti interessi, individuali e collettivi; si può dire che il senso di giustizia è innato nell’uomo poiché, senza necessità di spiegazioni o molte parole, tutti sanno (o almeno dovrebbero sapere) cosa è giusto e cosa non lo è. Ma se il senso del giusto si riesce ad esprimere con sicumera quando ci coglie spettatori, sovente diventa incerto e oscillante se ci coinvolge come protagonisti. La legge, sin dall’inizio delle relazioni sociali, ha quindi sentito l’esigenza di affidare ad un soggetto osservatore il compito di valutare la giustizia e decidere le ragioni proposte dalle parti contendenti.

Eppure dentro di noi sappiamo cosa è giusto, sappiamo che se abusiamo di un diritto che la legge ci concede a danno di chi, invece, dovrebbe forse essere preferito in una determinata situazione, stiamo ottenendo ragione ma non giustizia. Dovrebbero coincidere, secondo un progressivo adattamento del diritto positivo (quello delle leggi) al diritto naturale (quello della coscienza) ma talvolta non è così, per cui il soccombente in una vicenda che sa di essere dalla parte del giusto invoca la giustizia divina, sapendo che è meno fallibile di quella umana. Perché fu Gesù a rispondere ai farisei che occorre rendere a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio (Mt 22,21) con ciò non solo superando l’inganno in cui volevano trarlo a negare l’autorità di Roma o quella di Dio, ma ristabilendo l’equilibrio tra le cose terrene e quelle celesti, tra il mondo concreto e quello spirituale, tra la ragione e la coscienza, tra il mondo finito e l’eternità infinita, tra l’errore e la verità.

A ben vedere, la giustizia, almeno per come ci appartiene intimamente, è solo la seconda, poiché la prima è piuttosto conformità alla legge, non potendo il giudice disapplicarla se non corrisponde al suo giudizio, che deve rimanere estraneo alla decisione, essendo chiamato soltanto ad applicare la legge. Per questo motivo, le nazioni e le unioni di popoli si sono determinate a darsi regole condivise che rispondono ad un diffuso senso di giustizia, al quale ed alle quali le leggi devono uniformarsi: si pensi alla Costituzione della Repubblica che si propone di impedire che la legge possa violare diritti fondamentali degli individui e del popolo, oppure alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che analogamente, con valore sovranazionale, limita l’autorità statale nella promulgazione di leggi che potrebbero essere ingiuste (in Italia non vige direttamente ma attraverso il Trattato di Lisbona, che recepisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che ad essa si ispira).

Insomma, l’Umanità nei secoli ha messo in piedi numerose applicazioni per adeguare il più possibile le regole di convivenza sociale al senso di giustizia innato in ciascun essere umano ed alla evoluzione della morale diffusa, che sempre di più si avvicina al senso divino di giustizia che man mano si fa strada nelle coscienze e nei comportamenti: si pensi solo alla schiavitù, che nei secoli trascorsi costituiva la regola imposta con la forza da una classe sociale ad un’altra che la subiva, e che ora è abolita in tutto il mondo.

Eppure dobbiamo constatare che con molti espedienti si tenta di aggirare il senso condiviso della giustizia per fare apparire giuste cose che non lo sono: ne abbiamo esempi quotidiani nella vita privata come in quella pubblica, lamentando sovente che ciò che vediamo accadere non è giusto ed invochiamo il ripristino delle ragioni autentiche al di là delle apparenze. Ma il giusto coglie la verità: Voi mi scacciaste, rimprovera Alidoro alle sorelle di Cenerentola, che non fu sorda ai miseri, che voi teneste come vile ancella, e or salirà sul trono, perché il padre vostro gli è debitor d’immense somme. Rossini fa cantare al filosofo maestro del principe don Ramiro le regole per ristabilire l’equilibrio violato ed il trionfo della bontà perché nelle cose terrene tutto cangia a poco a poco.