Opinione

Il ruolo di taumaturgo che Sant’Antonio Abate ha assunto per la popolazione

Confesso che la prima volta, molti anni or sono, che ho sentito il termine «fuoco di Sant’ Antonio» il mio pensiero è idealmente andato a Sant’Antonio da Padova. Questo è un errore che fanno molti; ho corretto il mio errore solo molti anni dopo, quando ho avuto modo di approfondire l’argomento e finalmente comprendere che il Sant’Antonio che dà il nome alla malattia è Sant’Antonio Abate, cioè quel Santo a cui mia nonna romagnola di Meldola (in provincia di Forlì-Cesena), si riferiva quando bambino, sentivo la sua invocazione (in dialetto): «Sant’ Antonio dalla barba bianca». È innegabile che Sant’Antonio Abate sia un Santo molto popolare in Italia, il cui culto è particolarmente diffuso e radicato, al Nord come al Sud, soprattutto nella civiltà contadina con aspetti devozionali di fede sincera e popolare.

Il Santo è vissuto in Egitto nel III secolo; la tradizione vuole che egli sia stato esposto, in vita, alle tentazioni del demonio e che abbia vissuto come un eremita, motivo per cui è considerato il padre degli anacoreti. Alla sua morte, le spoglie, inizialmente tumulate in Egitto (ad Alessandria) sono state oggetto di successive traslazioni a Costantinopoli e in Terra Santa, per essere poi da qui portate, in epoca crociata, in Francia, Paese che avrà un ruolo particolarmente rilevante per lo sviluppo del culto del Santo, specie negli aspetti legati alla guarigione delle malattie. Del resto, l’Ordine degli antoniani che fa riferimento al Santo, è per l’appunto un Ordine ospedaliero che, nel corso della sua storia, si è preso cura delle persone ammalate.

Dall’osservazione delle numerose immagini con le quali il Santo, nel corso dei secoli fino ai giorni nostri, è stato rappresentato, possiamo ricavare la chiave interpretativa per comprendere, attraverso la simbologia, il ruolo di taumaturgo che il Santo ha assunto per la popolazione. Nella tradizione popolare e nel termine stesso di «fuoco di Sant’ Antonio» vi è racchiusa tutta la capacità di vincere le malattie e di imbrigliare il fuoco nei suoi aspetti negativi (il fuoco che tutto brucia) e valorizzarne quelli positivi. Non è quindi un caso che molte delle celebrazioni del Santo hanno come elemento centrale il fuoco. Non dobbiamo, infine, dimenticare che nella civiltà contadina, il culto a Sant’Antonio Abate si coniuga anche con l’invocazione al Santo perché protegga gli animali: preziosi compagni di vita e sorgente di cibo. Questo si palesa con la benedizione a loro concessa: tradizione, questa della benedizione, che è ancora molto vitale in numerosi paesi italiani. Sono senz’altro numerose le testimonianze del culto di Sant’Antonio Abate nella letteratura, nella musica (ricordo tra l’altro il complesso dei Gufi che negli anni Sessanta ha ripreso una antica ballata abruzzese), nell’arte figurativa pittorica, nella scultura e nella cinematografia.

Prof. Roberto Cauda

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