Il ruolo che svolgono le emoticon nei messaggi

Il cambiamento è l’unica costante della vita! Ed ecco che, grazie ai cambiamenti determinati dalla tecnologia, le nostre esistenze sono affollate di strane creature che compaiono sui nostri smartphone e pc. “Mandami un WhatsApp” è l’imperativo categorico della nostra epoca: snello, veloce, immediato e gratuito; ancora più efficace se corredato di emoticons. Faccina triste, faccina arrabbiata, faccina che ride e, da qualche tempo, faccina con la mascherina. E ancora cuoricini, fiorellini, il trio delle scimmiette “non vedo”, “non sento”, “non parlo”, e la lista è infinita e per tutti i gusti.

Guai a non conoscere il significato di ciascuna perché inviarne o riceverne una non appropriata può creare un’apocalisse! Alcuni giorni fa ho ricevuto un WhatsApp in cui appariva una faccina rivoltata, che sorride. Panico!!! Immediatamente apro internet per capirne il significato e dare un senso a quanto ricevuto. Sono una mamma la cui tranquillità, quando i figli sono fuori, dipende dall’emoticon che ti inviano per rassicurarti che va tutto bene. Sono un’amica a cui arrivano cuoricini a conferma della profondità del legame amicale. Sono una professionista che riceve emoticon di riconoscimento e gratitudine. Fortunatamente come moglie mi salvo da questo tipo di comunicazione avendo accanto un uomo “ignorante” in materia!!! Ma quale ruolo svolgono queste emoticons?

Esse sono espressioni simboliche attraverso le quali comunichiamo emozioni e stati d’animo. Spesso accompagnano un messaggio verbale ma in alcuni casi “viaggiano” da sole. Appartengono, dunque, a quella parte molto importante della cosiddetta comunicazione non verbale la quale ha un effetto potentissimo sul ricevente. In altri termini, poiché in un messaggio scritto con modalità WhatsApp molto si perde di ciò che realmente vogliamo comunicare, in qualche modo l’emoticon va ad aggiungere quella parte importante che è la partecipazione emotiva.

Ad esempio, se io scrivo un messaggio del tipo “Ci vediamo domani alle 5”, questo contenuto contiene esclusivamente un’informazione ma non aggiunge nulla rispetto al come sto vivendo questa situazione. Se aggiungo la faccina con il cuore, così come un cuoricino, sicuramente sto comunicando che sono felice ed impaziente di incontrare quella persona. Inoltre con le emoticon posso limitare anche quei fraintendimenti che il solo contenuto verbale potrebbe generare, permettendo a chi riceve il messaggio di interpretare con più esattezza l’intenzione comunicativa dell’emittente.

Detto ciò è, tuttavia, doveroso sottolineare come l’uso massivo o esclusivo di queste creature frutto della tecnologia limita moltissimo l’espressione emotiva della comunicazione e, come ogni abuso, diventa disfunzionale.

Dobbiamo ricordare che il nostro linguaggio è ricco di sfumature comunicative che mai potranno essere riprodotte con le emoticon. Basti pensare a quanto lo sguardo, la mimica facciale, la postura e i gesti influenzano la nostra comunicazione, così come la scelta di determinate parole capaci di evocare emozioni e sensazioni profonde. Non a caso Pascal diceva che “prima di convincere l’intelletto occorre toccare e predisporre il cuore”.

E’ evidente che questa parte così determinante della comunicazione si perde inesorabilmente se prediligiamo la messaggistica anche se accompagnata da emoticons. Purtroppo è noto come la nostra comunicazione si stia impoverendo e ciò rappresenta una grave perdita per l’umanità perché è proprio attraverso la comunicazione stessa che si possono produrre grandi cambiamenti. Messaggi ed emoticons non potranno mai ambire a raggiungere i potenti effetti dell’arte della retorica che rimane insostituibile ed estremamente affascinante.

Quindi, lungi dal voler demonizzare i moderni strumenti tecnologici che sono la conseguenza di processi di cambiamento inevitabili, è però importante sottolineare che tutto ciò che diventa estremo sfocia nella patologia e questo ci impone una riflessione importante: usiamo emoticons ma con moderazione per non rimanerne travolti, senza dimenticare che abbiamo a disposizione un linguaggio così straordinario che non può e non deve essere messo in secondo piano. In conclusione, per usare le parole di Giorgio Nardone: “Dobbiamo governare i venti del cambiamento per evitare di essere trascinati alla deriva”.