Riforma fiscale: quali sono i punti focali

Lo scorso 30 giugno le Commissioni Finanze di Camera e Senato hanno prodotto un documento, piuttosto articolato, che servirà come base per la Legge Delega al Governo che dovrebbe portare all’emanazione della spesso promessa e mai attuata riforma fiscale, la prima da inizio anni 70 del 900, entro il 31 luglio.

Questo documento ha avuto un larghissimo consenso, seppur con l’astensione di LEU e il voto contrario di FdI, e introduce delle novità assolutamente interessanti che, se “portate a terra”, risulterebbero più che auspicabili anche nell’ottica di un rilancio del Paese in vista anche dell’attuazione del PNRR.

I punti focali indicati si snodano su tre direzioni principali: la riduzione dello scaglione IRPEF mediano, quello del 38% per i redditi tra i 28’000 e i 55’000 euro annui, per favorire il ceto medio; l’abolizione dell’IRAP e la possibilità di rateizzazione del secondo acconto delle imposte reddituali per le partite IVA.

A questo si aggiungono diversi altri interventi che, però, potrebbero risultare determinanti a disegnare una riforma che, seppur non certamente ottimale, potrebbe essere epocale e di svolta per l’intero Paese.

La riduzione, finalmente indicata esplicitamente, delle imposte e l’abolizione dell’odiosa IRAP, che non a caso era chiamata da molti anche “Imposta RAPina”, è una vera novità nella retorica politica della Seconda Repubblica che ha sempre promesso meno tasse, fin dalla prima campagna elettorale nel 1994, ma che, in realtà, ha sempre elevato di un qualcosa il prelievo fino a giungere al livello attuale che è, oggettivamente, fin troppo elevato.

Ora la leggenda nera dell’Italia come lo stato più vessato al mondo non è esattamente vera, visto che solo in Unione Europea ci sono ben cinque stati più esosi rispetto al Bel Paese (che sono in ordine crescente Austria, Svezia, Belgio, Danimarca e Francia come rileva Eurostat), ma è evidente che il sistema fiscale qui esistente non sia né lineare né efficiente, tanto da richiedere costi ingenti dovuti meramente alle scadenze e agli adempimenti richiesti, fosse anche solo per la necessaria perdita di tempo.

L’idea di inserire una razionalizzazione del fisco e una semplificazione, come già detto in altre occasioni, da sola varrebbe un plauso per l’opera ma se a questo si aggiungesse tutto quello che prevede la bozza per tracciare le basi della Legge Delega, potrebbe sembrare una fatica da eroe mitologico.

Nonostante questo, si diceva poco fa, l’impianto non sarebbe ottimale perché non andrebbe a toccare la struttura generale dell’imposizione italiana, che necessiterebbe di essere riprogettata dalle base invero, ma, invece, vorrebbe ottimizzare l’esistente e migliorare il rapporto tra cittadini e imprese con il fisco.

È un inizio, un buon inizio in ogni caso, anche solo valutando i tempi ristretti in cui si deve muovere l’attuale maggioranza rispetto a quelli che necessiterebbe una vera rivoluzione fiscale che, credibilmente, potrebbe abbracciare un arco di tempo decennale perché occorrerebbe agire non solo dal lato delle entrate ma anche e soprattutto da quello delle uscite, eliminando gli sprechi e, perché no, normando nuovamente i criteri di bilancio pubblici passando dall’attuale criterio di cassa a quello di competenza, inserendo anche la possibilità di veri ammortamenti pluriennali per gli investimenti, come ad esempio fece la Francia con l’introduzione della sua riforma della contabilità nazionale, la LOLF del 2001.

Si diceva della riduzione dello scaglione centrale dell’IRPEF, cosa sicuramente buona ma non così impattante, almeno a livello psicologico, come lo saranno, dal lato del cittadino, l’eliminazione delle microtasse come il superbollo, l’addizionale regionale sui canoni di utenza delle acque pubbliche, le tasse di laurea e abilitazione agli esercizi professionali, etc; così come la semplificazione del regime IVA e la possibile riduzione dell’aliquota ordinaria.

Al di là del progetto che, alla fine, potrà essere valutato effettivamente solo quando sarà “portato a terra” e cioè non solo dopo l’emanazione del relativo Decreto Legislativo ma solo dopo l’effettiva emanazione dei decreti ministeriali attuativi che renderanno operativa la modifica del sistema impositivo, la cosa veramente importante è l’impatto che una riforma strutturale come quella fin qui delineata dovrebbe portare sul sistema economico.

Da un lato c’è la questione dei fondi stanziati dal NGEU per l’attuazione del PNRR che hanno l’attuazione di riforme strutturali come condicio sine qua non per poterli ricevere dall’Unione Europea e dall’altro c’è l’impatto della corsa sulle aspettative e sulle intenzioni di investimento degli operatori economici.

Dopo anni di promesse disilluse, infatti, al momento non c’è questo gran fervore proprio perché tutti sono in attesa di vedere cosa realmente arriverà, se veramente ci saranno i miglioramenti indicati oppure se le mediazioni necessarie all’interno della maggioranza non possano “partorire un topolino”, alla fine, poco utile e con vantaggi relativi.

Certo è che l’eliminazione di qualsiasi riferimento a nuove imposte patrimoniali sia già un’ottima notizia poiché, come già descritto in passato, questo tipo di fiscalità ha un impatto altamente distorsivo sul sistema economico e sui redditi dei cittadini, oltretutto qualora sia indicato seguendo un mero indirizzo ideologico e incurante della composizione della ricchezza degli italiani.

Purtroppo nulla si dice dal lato di energia e carburanti dove l’imposizione fiscale italiana genera l’aspetto più regressivo e penalizzante per cittadini e imprese ma metter mano a livello strutturale all’impianto fiscale per razionalizzarlo, semplificarlo e per moderare il prelievo già è un’impresa quasi titanica e gli interventi meramente indirizzati alla riduzione del carico su determinate tipologie di servizio/prodotto possono essere effettuate anche in un secondo momento.

In definitiva, benché le premesse siano assai promettenti, meglio raffreddare eventuali entusiasmi aspettando che la riforma fiscale sia operativa per poter valutare veramente l’apporto del Governo, quasi, di unità nazionale al rilancio del Paese che, ormai, aspetta da fin troppi anni.