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Raptus, termine sotto il quale a volte si vuole nascondere la violenza

Sentiamo spesso parlare di “Raptus”, dal latino “rapimento”, è un termine abusato dai media, utilizzato per definire comportamenti umani apparentemente incomprensibili, improvvisi e di breve durata, caratterizzati per lo più da violenza auto o eterodiretta, compiuti in presenza di impulsi “irresistibili”, di una motivazione cosciente, di un controllo volontario, a volte in assenza di consapevolezza. Il raptus può essere seguito da amnesia. Nelle aule di giustizia, le strategie difensive orientate al riconoscimento di un’infermità o di una semi-infermità di mente, invocano spesso il “raptus” per garantire agli assistiti i benefici che possono derivare dal riconoscimento di un vizio totale o parziale di mente, ai sensi degli articoli 88 e 89 del Codice Penale, (diminuzione o esclusione totale della pena). Il raptus, inoltre, viene invocato anche dagli autori del reato come tentativo di attenuare le responsabilità morali degli atti commessi.

Si tratta di un comportamento che rientra tra quelli previsti nel complesso capitolo dei reati d’impeto e viene definito solamente come un “passaggio all’atto” di un’istigazione mentale, improvviso, impulsivo, non mediato, con modalità e dinamiche più o meno organizzate: questo temine esprime pertanto solo un “comportamento”, la cui radice ed il cui significato criminogenetico devono essere valutati caso per caso: può nascere in un ambito patologico, di malattia, o in un ambito semplicemente criminale. Infatti, la comunità scientifica internazionale dopo aver a lungo oscillato tra il riconoscimento del raptus come entità a sé stante e la sua negazione, oggi concorda nel considerarlo un comportamento “umano” non esclusivo dei malati di mente, comportamento nel quale va compresa e dimostrata, caso per caso, la presenza o meno di un eventuale disturbo mentale sottostante che, per avere rilevanza in ambito giudiziario, deve avere valore di malattia ed essere direttamente influente sui comportamenti. Altrimenti si sarà trattato solamente un comportamento conseguente ad una turba della sfera emotivo affettiva, della sfera passionale, certamente legato ad una profonda tensione, non certo ad una malattia che possa dare infermità di mente.

Del resto, la definizione delle categorie diagnostiche di cui il raptus può rappresentare l’epifenomeno è incerta, così come è complesso e non privo di criticità il tentativo di individuare possibili criteri utili per differenziare un reato conseguente ad un’infermità di mente, rispetto a un reato conseguente a un “turbamento transeunte” della sfera emotivo-affettiva, uno stato emotivo e passionale che la legge, ai sensi dell’art. 90 del Codice Penale, non considera tra quelli che possono escludere o attenuare l’imputabilità. Soprattutto se i comportamenti messi in atti si accompagnano ad una progettualità riconoscibile e finalizzata e se il quadro psicopatologico che ne è potenzialmente causa inizia e termina con il reato, il raptus viene tendenzialmente considerato espressione di uno stato emotivo e passionale, anche se si accompagna sempre ad uno stato di forte tensione soggettiva. La malattia diviene infermità di mente (con conseguente riduzione o abolizione delle capacità di intendere e di volere) nelle patologie più gravi, quando l’atto – reato costituisce l “espressione diretta della malattia” e possono essere presenti elementi quali un’alterazione dello stato di coscienza durante il reato, una frattura nei confronti della realtà con compromissione della partecipazione consapevole all’evento, della capacità inibitoria e volitiva; una condotta ed un eloquio disorganizzati, incomprensibili, afinalistici.

È importante poi ricordare che “malattia di mente” e “infermità di mente” non sono assolutamente concetti sovrapponibili, altrimenti tutti i malati di mente sarebbero per definizione “infermi”: non tutte le malattie, infatti, danno infermità di mente, non tutti i malati sono incapaci, esistono sempre degli “spazi di libertà”, di vivere, di amare, anche di commettere reati. In conclusione, il raptus non è una malattia psichiatrica, ma un comportamento sotto il quale alberga a volte la malattia, ma che spesso rappresenta un “cappello” sotto il quale si nasconde, o si vuole far nascondere, la violenza, la crudeltà e la malvagità, che nulla hanno a che fare con la malattia mentale.

Claudio Marcassoli

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