Pregare: dialogo amoroso tra la nostra povertà e la grandezza di Dio

L’uomo si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato pur essendo chiamato a vivere in eterno. Siamo troppo attaccati alla terra e poco ai beni eterni, così misuriamo la vita meticolosamente con secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, invece ciò che sarà per noi l’eternità la releghiamo spesso tra i pensieri secondari. Ci prepariamo al meglio per un viaggio breve, ma come organizziamo quello che mai finirà?

Scrive Agostino: «Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell’anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla (…). Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! (…) Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell’obbedire».

La Quaresima è il tempo privilegiato per affrontare la negligenza, per esempio con la preghiera. Pregare è tendere una mano all’Infinito! È un dialogo amoroso tra la nostra povertà e la grandezza di Dio, in cui le nostre povere parole, il silenzio, l’abbandono, la meditazione si sublimano e vanno in cielo. Dio non tirerà mai indietro la mano quando ci rivolgeremo a Lui con cuore sincero, con i nostri limiti, con il nostro percorso di fede. In questo senso ci dona un vademecum Origene: «All’inizio, cominciando la preghiera, si devono elevare con tutte le proprie forze lodi a Dio, per mezzo di Cristo, glorificato nello Spirito Santo, che è con lui. Dopo di ciò, ognuno farà seguire ringraziamenti generali, pensando ai benefici elargiti a tanti uomini e quelli personali ricevuti da Dio. Dopo il ringraziamento, mi sembra che si debbano accusare con severità, davanti a Dio, i propri peccati, supplicando lui di salvarci e liberarci dallo stato in cui quelli ci hanno condotto, e anche di perdonarci le colpe commesse. Dopo la confessione dei peccati, si chiederanno i doni sublimi, celesti, particolari e collettivi, per i parenti e gli amici. E in tutto ciò la preghiera deve risuonare come lode continua a Dio per mezzo di Cristo nello Spirito Santo».

Invece, quando si parla di digiuno o di astinenza si rischia di cadere nell’eccessivo e poco fruttuoso devozionismo legato al non mangiare carne il venerdì, al digiuno il “Mercoledì delle Ceneri” e il “Venerdì Santo”. Non che tutto ciò non debba essere rispettato o tenuto in considerazione, ma si tratta di farlo con intelligenza e cuore libero come ci insegna Giovanni Crisostomo: «Davvero, davvero, molte sono le vie che ci possono aprire le porte nella fiducia nel Signore: molte più che il semplice digiuno! Perciò chi si ciba e non può digiunare, dia prova di sé con elemosine più abbondanti, con preghiere ferventi, con l’alacrità nell’ascolto della parola divina: a tutto ciò la debolezza del corpo non è di impedimento; e si riconcili con i nemici ed elimini dall’animo ogni sentimento di vendetta. Se farà così, osserverà il vero digiuno, quello che il Signore soprattutto ci richiede».

E il Signore ci richiede l’amore! Amare è prendersi cura dell’altro, cercare un punto d’incontro, rendersi conto per primi laddove sorge l’infelicità, laddove cresce la sofferenza; rendersi conto ed esserci lasciando anche le nostre comodità che di certo staranno lì ad attenderci. È facile pensare che saranno altri ad occuparsi degli “ultimi” della strada, degli ospedali, degli ospizi, dei centri di accoglienza per migranti, rifugiati o minori. È allora che dobbiamo tendere la mano al prossimo come afferma Gregorio di Nazianzo: «Fino a quando navighi con vento favorevole, porgi la mano a chi ha fatto naufragio; fino a quando sei sano e ricco, aiuta chi soffre! Non aspettare di esperimentar in te stesso quanto sia male essere disumano, e quanto sia bene aprire le proprie viscere ai bisognosi. Non voler far prova di come Dio stende la sua mano contro i superbi, contro coloro che passano oltre non curandosi dei poveri. Impara questo nelle calamità altrui; da’ anche poco a chi è nelle necessità: non è poco per chi ha bisogno di tutto; e non è poco neppure per Dio, se pur è dato secondo le proprie forze. Al posto di una gran somma, da’ tutto il cuore».