Pensioni: le rivendicazioni dei sindacati e la posizione del governo

La linea concordata tra governo e sindacati in materia di pensioni è costituita dai soliti due tempi: il primo nel contesto della legge di bilancio limitatamente a misure di proroga o di aggiustamento di normative specifiche; il secondo affidato ad un disegno di legge delega di cui verosimilmente si parlerà l’anno prossimo. Nel ddl bilancio 2021 – già in rampa di lancio alla Camera – sono previste due proroghe di una certa importanza (in attesa che almeno una, l’Ape, divenga strutturale). L’Ape sociale è prorogata fino al 31 dicembre 2021. In particolare potranno fruire dell’indennità anche coloro che non hanno beneficiato della prestazione di disoccupazione per carenza del requisito assicurativo e contributivo. E’ prevista inoltre un’ulteriore proroga di Opzione donna per le lavoratrici che maturano i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2020.

E’ interessante valutare l’utilizzo di questa via d’uscita anticipata che comporta un’importante penalizzazione economica: il calcolo contributivo anche per i periodi in regime retributivo. La Relazione tecnica della legge di bilancio 2020, stimava un taglio dell’8 % per le lavoratrici dipendenti e del 17% per quelle autonome. Al 22 gennaio 2020, risultavano accolte 19.290 domande, pari all’85 % delle domande riferite a donne che chiedono il pensionamento in fondi della gestione privata. Dal Rendiconto sociale INPS 2018, emanato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza nel novembre 2019, risulta che il 53,3% delle domande di opzione donna accolte era riferito a donne in situazioni di difficoltà lavorativa (disoccupate, cassa integrate, ecc.). Infatti, il 34,4 % delle pensioni liquidate al 30 aprile 2019 riguardava lavoratrici senza alcun reddito nel 2017, mentre l’8,1 % era riferito a lavoratrici con reddito fino a 5.000 euro, il 10,8% a lavoratrici con reddito tra 5.001 a 8.700 euro, il 13,5 % con reddito tra 8.701 e 13.000 euro, il 33,2%, invece riguardava lavoratrici con redditi 2017 superiori a 13.000 euro anni, il 27,6 % da 13.001 a 26.000 e il 5,6 % con redditi superiori a 26.000 euro annui.

Inoltre, il periodo prestato con contratto di lavoro a tempo parziale sarà considerato per intero utile ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, nei limiti previsti dall’applicazione del minimale retributivo previsto dalla legge. In particolare, la norma dispone che il numero di settimane da assumere ai fini pensionistici si determini rapportando il totale della contribuzione annuale al suddetto minimale contributivo. Si precisa che per i dipendenti pubblici è già previsto che “ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione a carico dell’amministrazione interessata e del diritto all’indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi utili per intero’’.

Viene data attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 234 del 2020 riducendo da cinque anni a tre anni l’ambito di applicazione delle riduzioni delle pensioni i cui importi sono superiori a 100.000 euro (c.d. pensioni d’oro) e confermando le disposizioni in materia di perequazione automatica dei trattamenti pensionistici introdotte dalla legge di bilancio 2020. Per i sindacati, però, questa impostazione resta inadeguata. In particolare, le OOSS insistono per un’ulteriore salvaguardia (la nona) per i c.d. esodati, chiedono un ampliamento dei beneficiari dell’Ape sociale e del regime dei c.d. precoci, rivendicano l’estensione della c.d. quattordicesima per i pensionati che percepiscono fino 1,5mila euro al mese. Un’ulteriore richiesta riguarda la previdenza complementare, di cui sollecitano misure per rafforzare l’adesione e per sostenere il montante contributivo nei casi di variazione negativa del Pil (che è l’indicatore per la rivalutazione del montante stesso).

Queste ulteriori rivendicazioni non sono piaciute al ministro Roberto Gualtieri, il quale, in una recente intervista televisiva, ha dichiarato: “E’ avviato un dialogo con le parti sociali, ognuno fa il suo mestiere. I sindacati chiedono sempre di più, di più, di più e il governo deve naturalmente guardare ad un equilibrio più generale”. E’ un indirizzo che viene certificato anche dalla Corte dei Conti. La Magistratura contabile nel Rapporto di coordinamento 2020 sulla finanza pubblica, si esprime in termini molto netti.

In termini di incidenza sul Pil – scrive la CdC  – la spesa per pensioni, pari al 15,4 per cento nel 2019, vedrà un incremento al 17 per cento quest’anno, per un evidente “effetto denominatore” (cioè il crollo del Pil per via della crisi sanitaria e i suoi riflessi sull’economia), per collocarsi sul 16,4 per cento nel 2021 (ovviamente ciò dipenderà dalle soluzioni che saranno trovate se andrà avanti l’annunciata controriforma, ndr).

Secondo i dati trasmessi alla Corte nell’ambito della predisposizione del referto sul Ministero del lavoro e delle politiche sociali (nel quadro della Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio 2019), al 22 gennaio 2020 risultava che le domande per Quota 100 presentate nel 2019 erano pari a 229 mila: il 40 per cento di esse sono state inoltrate da lavoratori dipendenti del settore privato, il 28 per cento da lavoratori autonomi (inclusi coloro che hanno beneficiato della normativa sul cumulo) e il 33 per cento da dipendenti pubblici.

Rispetto alle stime presentate nella Relazione tecnica, il tasso di adesione è risultato sensibilmente più basso, in particolare per i dipendenti pubblici ed i lavoratori autonomi, ed il numero di pensionamenti con Quota 100 nel 2019 risulta pertanto pari a circa il 58 per cento di quelli prudenzialmente ipotizzati. Per il complesso delle gestioni la grande maggioranza dei pensionamenti anticipati tramite Quota 100 ha interessato lavoratori di sesso maschile. Alla fine del 2019 i pensionati in quota 100 con domanda accolta sono stati 150.253 (età media 63,8): Donne: 36.872; Uomini: 113.381. Nel settore privato 108mila (di cui 16mila donne); 42mila ( di cui 20mila donne) in quello pubblico.