“Pe Atye kena”: un progetto per aiutare le donne in Uganda

Alyce, una sex worker di Gulu di cui useremo un nome di fantasia, durante un incontro al Comboni Samaritans Health Center, prende la parola e chiede di andare avanti con il Progetto perché “in questi 3 anni, grazie a ‘Pe Atye Kena, no longer alone’ mi è completamente cambiata la vita”. E dietro ad Alyce fanno eco altre giovani donne che hanno preso parte al progetto e che dimostrano il loro entusiasmo e la loro gratitudine.

Il progetto di cui stiamo parlando si chiama proprio “Pe Atye kena” che nel linguaggio Acholi, diffuso nel nord dell’Uganda significa “non più da sole”. E’ un progetto che la Sezione di Malattie Infettive – Dipartimento di Sicurezza e Bioetica dell’Università Cattolica del S. Cuore sta conducendo da tre anni in un centro clinico nei paraggi di Gulu, a cui afferiscono molte donne che vivono nei villaggi intorno alla città. Il progetto ha ottenuto un generoso finanziamento dalla Conferenza Episcopale Italiana.

E’ un progetto sulla prevenzione dell’infezione da HIV e delle altre malattie sessualmente trasmesse attraverso lo screening sierologico periodico e l’educazione continua sugli aspetti di prevenzione, consapevolezza ed empowerment. Nonostante le restrizioni legate alla pandemia, grazie all’attività continua e appassionata del personale sanitario del centro clinico Comboni Samaritans of Gulu, il progetto ha consentito di seguire circa 500 donne tra i 18 e i 49 anni, età di maggiore incidenza delle malattie sessualmente trasmesse e dell’infezione da HIV nelle donne in Africa sub-sahariana, fornendo loro basi di conoscenza e di consapevolezza su come mantenere il proprio stato di salute lavorando sulla autodeterminazione nelle relazioni interpersonali, e sull’empowerment all’interno della società. Questo si è riuscito ad ottenerlo anche con il supporto di donne capofila particolarmente determinate e motivate a diffondere le conoscenze acquisite in modo capillare fino al villaggio più lontano…

Altro aspetto molto interessante del progetto, ispirato al microcredito, è stato quello di affidare a gruppi di alcune donne, piccole somme di denaro da investire in attività commerciali semplici per rendere queste donne indipendenti economicamente e socialmente.

Nonostante i successi nella lotta contro l’HIV e l’AIDS in Uganda, con una riduzione di prevalenza di infezione da HIV dal 27% al 7,3% tra il 2000/01 e il 2010/11, la prevalenza dell’HIV tra le donne di 15-49 anni rimane superiore a quella degli uomini della stessa fascia di età. Le giovani donne tra i 14-24 anni in Uganda hanno quattro volte più probabilità di acquisire HIV rispetto ai loro coetanei maschi. A Gulu, la prevalenza dell’HIV è del 12,4%, molto più alta della media nazionale. Inoltre, sempre nell’area di Gulu, le altre malattie sessualmente trasmesse (come l’infezione da Chlamidia, da gonococco e la sifilide) contribuiscono al 18% dell’utilizzo ambulatoriale nel distretto e sono tra le prime dieci cause di morbilità tra le persone dai 5 anni in su.

La violenza di genere e le disuguaglianze, così come gli aspetti socio-economici sono fattori chiave dell’epidemia. L’abbandono scolastico è stato identificato come un fattore di rischio significativo per l’acquisizione dell’HIV in Uganda; le donne sono costantemente più a rischio di riportare un livello di istruzione inferiore o di non avere alcuna istruzione (10,9% contro il 3,8%) rispetto alle loro controparti maschili. Inoltre, secondo stime nazionali ugandesi del 2017, una recente violenza del partner sessuale è stata riportata dal 15,5% delle donne di età inferiore ai 24 anni, e l’esposizione alla violenza è stata collegata sia all’aumento del rischio di acquisizione dell’HIV che alla ridotta capacità di negoziare forme di sesso non a rischio di trasmissione sessuale. Complessivamente, questi fattori contribuiscono a ridurre il potere individuale delle donne sul loro stato di salute.

In tali contesti il progetto “Pe Atye Kena” ha trovato terreno fertile e la possibilità di condurre strategie di prevenzione all’interno di una realtà comunitaria e di appartenenza come quella rappresentata dal Comboni Samaritans Health Center è risultata fondamentale per la persistenza del progetto nonostante le restrizioni e la distruzione di servizi che la pandemia da COVID-19 ha prodotto a livello globale, soprattutto sul versante della prevenzione.

Da qui nasce spontanea l’idea di proseguire la collaborazione tra l’Università Cattolica e il Comboni Samaritans Health Service per rafforzare e strutturare le attività ambulatoriali a favore di un vero e proprio Ambulatorio per la Salute della Donna ove si possa assicurare la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, lo screening per il cancro della cervice e del seno, l’assistenza psicologica per la violenza di genere.