La parola: quando tutti parlano ma pochi comunicano

Parola
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Domenica della Parola. In Chiesa abbiamo ascoltato la nuova iniziativa commemorativa del Papa che ha istituito la domenica della Parola nella terza domenica del tempo ordinario, affinché sia dedicata una riflessione all’importanza della parola, attività tipicamente umana.

L’iniziativa coglie al solito i segni del tempo attuale in cui l’aumento dei mezzi di comunicazione e la loro trasformazione da dominio di pochi ad opportunità di molti ha generato un fiume incontenibile di parole in libertà da parte di chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i nuovi metodi di comunicazione; una condizione certamente auspicata se ciascuno può liberamente esprimersi e può avere accesso alle fonti, rendendo più difficile condizionare l’informazione ad esigenze di vertice poiché i dati ed i mezzi sono a disposizione di tutti.

Ma ancora la situazione è lungi dall’essere ottimale giacché, come sempre accade, l’abbondanza dei mezzi ne determina l’abuso e, peggio ancora, lo scadimento di qualità secondo un paradigma che l’esperienza ha oramai codificato in ciascuno di noi: se c’è poco, sarà ad appannaggio dei potenti e dei pochi capaci di intercettarlo; se c’è molto sarà di tutti, anche di chi non ne saprà rispettare l’importanza e ne determinerà la scarsa qualità.

Tutti parlano, oggi, ed è certamente un bene dato che parlare è un’esigenza fondamentale della persona; il problema è che pochi ascoltano, come pochi osservano, pensano, riflettono, valutano, scelgono, decidono. Si ripropone la condizione dell’eccesso di abbondanza: in tempo di siccità il terreno arido è penalizzato ma in caso di allagamento il terreno asciutto diventa prezioso.

Tutti parlano ma pochi comunicano: negli anni Sessanta fece scalpore una canzone di successo di un duo famoso proveniente dalla sfavillante New York, che sotto il titolo del Suono del Silenzio, constatava l’incomunicabilità tra le persone che parlavano senza dire nulla, che sentivano senza ascoltare. È il male dell’epoca post moderna, che gli artisti hanno saputo cogliere con profonda sensibilità in tutte le sue, pur diverse, espressioni: Magritte dipinse Gli amanti con il volto coperto poiché non potevano parlare, De Chirico celebrò Ettore e Andromaca senza volti poiché non dovevano parlare, Eduardo De Filippo affidò a Zì Nicola la protesta col rimedio di esprimersi con i fuochi di artificio poiché non voleva parlare, Pirandello ne ha fatto un monumento.

L’impossibilità di comunicare è sprofondata nell’abisso della mancanza di contenuti. Nessuno ascolta più, nessuno ascolta nulla: è la celebrazione dell’autocelebrazione. Ognuno è soddisfatto perché ha parlato, dice quello che pensa, senza capire che è il problema è tutto lì, poiché non pensa quello che dice. Ascoltare pesa, parlare alleggerisce: se ascolto sono costretto a pensare e poi mi tocca fare quello che non mi aggrada; se parlo, invece, scarico tutta la mia libidine e mi sento rinfrancato. Poco importa se ho detto sciocchezze, sono in tanti a dirle e poi, domani chi ci pensa più, intanto mi sono scaricato. Cartesio è stato adeguato: parlo, dunque sono.

Ecco. Basta leggere sui social o ascoltare per più di qualche minuto i salotti dei programmi televisivi che vanno tanto di moda per rendersi conto che ci sono aggressioni continue a chiunque osi contraddire quello che si dice, anche se è palesemente sbagliato o contraddetto da fatti evidenti; anche i politici sono affetti dall’annuncite, come oggi viene definita la malattia di annunciare ogni giorno qualcosa di nuovo che non sarà mai realizzato poiché il pubblico rimane soddisfatto dell’annuncio, cui non può esserci nulla da replicare, se non quando il tempo è passato, ma ahimè per l’annunciatore come per il pubblico.

Ed il Papa ha dedicato una giornata alla Parola, ma non certo quella profferita senza cognizione, senza pensiero, gettata lì da un improbabile annunciatore; si riferisce alla Parola divina, al Vangelo, alla sacra Bibbia, alla Parola da ascoltare per riflettere, per capire, per rispondere, per andare avanti.

Ma ascoltare non vuol dire eseguire acriticamente gli ordini che provengono da chi si è arrogato un improbabile diritto di imporsi agli altri, stravolgendo ogni regola di gestione pure conquistata a caro prezzo e sancita negli atti fondamentali su cui si basa il sodalizio sociale. Ascoltare vuol dire innanzitutto porsi in ascolto, per ricevere, comprendere, riflettere, distinguere, e finalmente scegliere di osservare consapevolmente ciò che ci viene illuminato dall’inizio dei tempi, in modo imperituro, ad onta delle baggianate che quotidianamente dobbiamo sorbirci. La Parola, quella con la maiuscola, promana dall’Autorità Suprema, per i cattolici, i cristiani e tutte le altre religioni del mondo.