Opinione

Nuove relazioni tra Chiesa e mondo

Gli ultimi tre Papi sono in qualche modo diversi ma la loro azione può essere ricondotta alla medesima matrice evangelica. Chi guardava di più al cielo, e chi di più alla terra. Chi ha fatto progredire le aperture conciliari, chi meno, e chi invece sta tentando di svilupparle al massimo. Tre Papi diversi, anche perché – finito il monopolio italiano sul papato – provengono da Paesi diversi, da spiritualità diverse, da culture ed esperienze diverse. Il che potrebbe comunque rappresentare un grande arricchimento per la Chiesa universale.

Giovanni Paolo II ha tenuto insieme, e sviluppato, due nuove immagini di Chiesa. Una Chiesa vista nella sua natura trinitaria, ossia come un insieme armonico di unità e molteplicità, di identità e diversità. E una Chiesa vista nella concreta realtà storica, con l’impiego di categorie inedite, proprie della teologia morale, nell’affrontare le problematiche sociali: famiglia, cultura, giustizia, guerra e pace.

Poi, è arrivato Benedetto XVI. Un pontificato difficile, complesso, investito da emergenze che forse non erano state sufficientemente valutate in precedenza. Papa Ratzinger, in risposta alla crisi dell’umanesimo, ha raccontato magistralmente di Dio e della sua presenza nella vita degli uomini, come pure ha riproposto l’”abc” del messaggio cristiano.

Poi Francesco. Il primo Papa latinoamericano ha ripreso, fintanto ad assolutizzarlo, il metodo induttivo della “Gaudium et spes”. Si parte, non più dal “centro”, ma dalle “periferie”; non più dall’Occidente, ma dalla tragica condizione dei poveri, dal Sud del mondo. E, da qui, leggere i “segni dei tempi”. Quindi, cercare una soluzione cristiana ai nuovi problemi: come la difesa del creato, come l’esigenza di una fraternità e di una solidarietà universali. La dottrina morale non è più un sistema chiuso, arriva a toccare temi prima tabù o solo sfiorati: come la possibilità di assumere un atteggiamento di accoglienza e di rispetto per le persone omosessuali.

Per il Giubileo del Duemila, Giovanni Paolo II aveva chiesto a tutti i vescovi, come esame di coscienza, di far conoscere lo stato di attuazione del Vaticano II nelle loro diocesi. Benedetto XVI si è impegnato a fondo per estirpare la piaga degli scandali nel clero: tolleranza zero, numerosi vescovi dimissionati, controlli più stretti; ma a un certo punto ha scoperto che un intero episcopato, quello irlandese, aveva nascosto tutto per anni, intendendo così difendere l’”onore” della Chiesa. Papa Francesco ha aperto le porte ai divorziati risposati che vogliono riaccostarsi all’Eucarestia; e invece, ignorando quanto c’è scritto in un documento pontificio, l’Amoris Laetitia, taluni continuano ad imporre a queste coppie di astenersi dall’“intimità sessuale”, e quindi di vivere, pur sotto lo stesso tetto, “come fratello e sorella”.

In varie epoche storiche la coscienza, espropriata della sua funzione primaria, si è sentita svuotata, smarrita. Da tempo il confronto (e lo scontro) tra il bene e il male si svolgeva altrove, nel mondo. Quindi, fuori della coscienza. Dove, di conseguenza, si attenuava progressivamente la consapevolezza di ciò che comporta l’impegno morale del cristiano. E se è vero che si irrobustiva la percezione del cosiddetto “peccato sociale”, è altrettanto vero che si affievoliva il senso del peccato, inteso prima di tutto, ricordava san Tommaso, come “qualcosa di personale”. Dunque, continuando nella metafora, cielo e terra erano diventati lontani. I credenti facevano sempre più fatica a riconoscere Dio nella propria quotidianità. E, prima ancora, era la Chiesa che sembrava facesse fatica a trasmettere una fede incarnata nella vita degli uomini. L’annuncio evangelico, forse perché appesantito da troppa autorità, da troppe sovrastrutture, non sempre riusciva a ridare speranza all’essere umano, a rispondere alle sue inquietudini metafisiche. Niente, o quasi niente, che colmasse il “vuoto” lasciato dal crollo delle ideologie – come quello, imminente e clamoroso, del marxismo – e dal venir meno della cieca fiducia di un tempo nella scienza. Eppure, c’era stato un Concilio che aveva ricongiunto cielo e terra. Aveva ridisegnato una nuova immagine di Chiesa, mistero di salvezza, e, nello stesso tempo, aveva delineato nuove relazioni tra Chiesa e mondo. Appunto, le due grandi costituzioni: quella dottrinale, Lumen gentium, e quella pastorale, Gaudium et spes. Con un rovesciamento – specie nel secondo documento – del metodo che per secoli era stato impiegato dai Pontefici per interpretare la realtà, ovvero il metodo classico della neo-scolastica. Adesso, si procedeva a rovescio, si partiva dal basso, dalle situazioni umane, e non più dall’alto, non più dalle enunciazioni scritturistiche, patristiche, dogmatiche, intese come principi generali, assoluti, intoccabili.

Gianfranco Svidercoschi

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