La misericordia: stella polare per la vita dell’intera comunità cristiana

Fino alla metà del secolo scorso prevaleva il paradigma di una Chiesa poco incline al dialogo e fortemente caratterizzata dal clericalismo. Ebbene, perché si cambiasse direzione, c’è voluto un Concilio, il Vaticano II, che ha fatto da ispirazione, da nuovo inizio, con la sua impostazione pastorale e positiva. Ci sono voluti dei Papi, i quali, gradualmente, passo dopo passo, hanno contribuito a far riscoprire e maturare il concetto di misericordia. Cosicché la Chiesa tornasse ad essere anche madre, e non più solo maestra. Non più, come talvolta era successo, matrigna.

Ha cominciato Giovanni XXIII, quando nel discorso d’apertura del Concilio ha parlato di una Chiesa che preferiva usare “la medicina della misericordia piuttosto che della severità”, piuttosto che “nuove condanne”. Quattro anni dopo, chiudendo le assise ecumeniche, Paolo VI ha richiamato la parabola del buon samaritano, per ribadire la “corrente di affetto e di ammirazione” verso il mondo moderno. Che era poi il tratto più caratteristico della nuova immagine di Chiesa plasmata dal Concilio: non più chiusa in sé stessa e preoccupata principalmente di difendersi, ma aperta fiduciosamente al dialogo.

E’ durato solo trentatré giorni, il pontificato di Giovanni Paolo I, ma è bastato per squarciare ancora un po’ di più la coltre di secolare e colpevole dimenticanza. Una domenica, all’Angelus, se ne è uscito con un “Dio è padre ma anche madre”, che ha fatto gridare allo scandalo, alla bestemmia, i “tutori dell’ortodossia”, come il Papa li chiamava ironicamente. E invece lui non aveva fatto altro che ripetere, così rilanciandole, le parole di Isaia. E ricordare al popolo cristiano come tutta la Bibbia fosse accompagnata dal grido dell’amore di Dio che cerca l’uomo. Ancora avanti. Giovanni Paolo II ha messo insieme le profezie di Faustina Kowalska e la sua personale esperienza. Ha inserito la riflessione sulla misericordia nel contesto storico di una umanità attraversata da due drammatiche guerre mondiali e da due sanguinosi totalitarismi. E l’ha quindi sviluppata nella lettera enciclica che è quella più sua, Dives in misericordia. La misericordia come fondamento del rispetto dovuto alla dignità di ogni persona, in quanto creata a immagine di Dio.

“L’amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta”. Per la Chiesa, “la ragione del suo essere è quella di rivelare Dio”, dunque, la sua misericordia, e, per questo, “non le è lecito, a nessun patto, di ripiegarsi su sé stessa”. E va anche ricordato che papa Wojtyla è morto alla vigilia della festività della Misericordia, che egli stesso aveva istituito per la domenica successiva alla Pasqua.

Intanto, affioravano anche resistenze, perplessità, incomprensioni. E, a colpire di più, erano i silenzi. Silenzi estremamente emblematici, e, per questo, inquietanti. Come il silenzio sulla misericordia nel Catechismo della Chiesa universale. Come i silenzi durante il pontificato ratzingeriano. Ma poi è arrivato Francesco, e fin da subito è ricominciato il cammino. La misericordia è diventata l’emblema distintivo del suo ministero, dei suoi viaggi, del suo stesso pontificato, così come ha ispirato un Anno Santo straordinario. Anzi, nella “strategia” di papa Bergoglio, la misericordia dovrebbe essere come la stella polare per la vita dell’intera comunità cristiana. E cioè, la misericordia come nuovo modo di professare la fede; come nuovo modo di essere Chiesa, di vivere da cristiano; come nuovo modo di impostare il discorso morale; e infine, di conferire alla giustizia un contenuto nuovo, non per sostituirla, ma per riempirla di umanità e di speranza.

Come si vede, ripercorrendo il processo di riscoperta della misericordia divina, si è arrivati, non a discorsi astratti, solo teorici, bensì a un disegno preciso, concreto, di come potrebbe essere il futuro – un futuro di grande cambiamento – per il cattolicesimo. Da evitare c’è il rischio che un’occasione di profondo rinnovamento come questo pontificato rimanga un “affare” solo di chierici, di addetti ai lavori. Anziché venir introdotta nella comunità dei credenti, per trasformarne le coscienze, la religiosità, i comportamenti. Anziché venir proposta a tutti gli uomini di buona volontà, per costruire insieme un mondo più giusto, più umano. E qui, per una singolare assonanza, tornano in mente i bellissimi versi della giovane poetessa Amanda Gorman. “Ma una cosa è certa. Se uniamo la misericordia con il potere, e il potere con il diritto, allora l’amore diventa la nostra eredità…”.