I “mea culpa” rafforzano la credibilità dell’Ecclesia

La Chiesa dopo il Concilio, soprattutto in Occidente, ha innovato molto nel rapporto con il mondo moderno e nel dialogo interreligioso, ha realizzato meno dell’aspirazione a una Chiesa dei poveri. Ma almeno in America latina le cose sono andate diversamente, sia per la situazione sociale di partenza che per la sensibilità dei vescovi, anche nei confronti del pensiero di Paolo VI. Oggi che il Papa è un latinoamericano e che ha celebrato il Giubileo della misericordia, l’ispirazione di Roncalli e le realizzazioni di Montini potrebbero suscitare ulteriori declinazioni, e chissà che non ne venga fuori qualche sorpresa nella prosecuzione di un pontificato già ricchissimo di segni e realizzazioni.

«Riconoscere i cedimenti di ieri è atto di lealtà e di coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra fede», diceva Giovanni Paolo II. In altre parole, fare i conti con il passato senza paura. E invece, c’erano importanti uomini di Chiesa, compresi diversi cardinali, e non pochi dirigenti della Curia romana, i quali continuavano a mostrarsi critici nei riguardi di quella novità wojtyliana. Tutta la Sacra Scrittura, e specialmente il Nuovo Testamento, mettono in luce la grandezza e la profondità del perdono di Dio; ma evidentemente era qualcosa che non faceva ancora parte del bagaglio culturale e, prima ancora, della vita di fede, di parecchi ecclesiastici. Prova ne sia che alcuni episcopati ci metteranno degli anni, prima di uscire da quello che uno storico aveva definito «ossequioso silenzio», e cioè prima di trovare il coraggio di riconoscere apertamente le loro mancanze, le scandalose compromissioni con i poteri temporali. E tuttavia, con il passare del tempo, i “mea culpa” cominciarono a far breccia nelle perplessità, nelle resistenze. A colpire molti, era il “risvolto” costruttivo delle denunce, pur severe, che il Papa faceva a riguardo delle responsabilità storiche dell’istituzione ecclesiastica. Come dire che, proprio a partire da una revisione autocritica delle vicende del passato, sarebbe stato possibile avviare una profonda trasformazione di vita nella comunità cattolica. E poi, a colpire, era anche quel perdono a senso unico, senza chiedere assolutamente nulla, senza doversi aspettare niente in cambio. Appunto perché, per Wojtyla, la gratuità del gesto era la condizione indispensabile, assoluta, per la sua credibilità, per la sua efficacia. In concreto, perciò, i “mea culpa” favorirono un cambiamento di clima, di mentalità, rispetto a un passato in cui prevaleva il contrasto, la condanna. Non solo, ma, contribuendo ad appianare molte delle antiche incomprensioni, testimoniarono la volontà di Roma di andare avanti sulla strada dell’ecumenismo, del dialogo con le altre Chiese cristiane, con le altre religioni.

Papa Francesco evidenzia spesso come sia necessario creare le condizioni per un’evangelizzazione e tenere presente la situazione dove si evangelizza. La realtà è un aspetto fondamentale dei dinamismi che orientano lo sviluppo della convivenza sociale, tipico dell’America Latina ed hanno plasmato la Chiesa di quel continente. Francesco parla di una Chiesa che deve operare facendo attenzione ai segni dei tempi, senza cedere alla comodità del conformismo, ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Un’esortazione a camminare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma l’atteggiamento dei cristiani deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. I cristiani sono liberi per il dono della libertà che ha donato Gesù Cristo. Ma il lavoro dei cristiani è guardare cosa succede dentro, discernere i loro sentimenti e pensieri. E cosa accade fuori discernendo i segni dei tempi. Secondo Francesco, dunque, i tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando saldi nella verità del Vangelo. Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili.

In merito, Francesco ha citato il brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale, ha detto Francesco, predica con tanta forza la libertà che ha salvato l’umanità dal peccato. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei segni dei tempi dando degli ipocriti a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo. Dio ha creato gli uomini liberi e per avere questa libertà occorre aprirsi alla forza dello Spirito e capire bene cosa accade dentro e fuori il loro animo, usando il discernimento. Gli uomini hanno, secondo Francesco, questa libertà di giudicare quello che succede fuori di essi. Ma per giudicare devono conoscere bene quello che accade fuori da loro stessi. E come si può fare questo? Come si può fare questo, che la Chiesa chiama conoscere i segni dei tempi? I tempi cambiano.

Per Francesco è proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà. Jorge Mario Bergoglio riconosce che non è una cosa facile, troppi sono i condizionamenti esterni che premono anche sui cristiani inducendo molti a un più comodo non fare. E invece prima la misericordia poi il resto. Una concezione della sua missione che fa di papa Bergoglio non solo il capo della Chiesa o il portavoce dell’intera cristianità, bensì un interlocutore e referente morale di «tutti gli uomini di buona volontà», secondo la lezione di Giovanni XXIII, il predecessore cui Francesco maggiormente si ispira nel magistero e che ha proclamato santo a piazza San Pietro nella stessa cerimonia di canonizzazione di Karol Wojtyla.