Mafie, religiosità e appartenenza ecclesiale

Papa Francesco in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, dopo aver richiamato il magistero dei suoi predecessori che collegavano le mafie alla “cultura di morte”, ha detto che “Queste strutture di peccato, strutture mafiose, contrarie al Vangelo di Cristo, scambiano la fede con l’idolatria. Nella stessa direzione, papa Francesco, ai fedeli della diocesi di Cassano allo Ionio il 21 febbraio 2015 aveva affermato che i “gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita”.

Molti mafiosi pretendono di avere una loro religiosità, che è asservita ai loro disegni di potere ed è usata per accrescere la propria legittimazione sociale. La mafia è una religione capovolta con una sacralità atea che rende schiave le persone inserendole in un circolo diabolico dal quale è difficile uscire. I mafiosi, indifferenti alle verità di fede e della morale cristiana, in un ambiente in cui il sentimento e la pratica religiosa sono ancora consistenti e la religione cattolica è maggioritaria e radicata nella cultura di un popolo, mostrano interesse per i simboli e le manifestazioni religiose. Essi pretendono di dimostrare che la mafia è espressione autentica di quelle zone, anche attraverso i gesti di devozione dei loro capi, che non si pongono alcun problema sull’evidente contrasto fra quei simboli e la coerenza nella vita quotidiana.

Quest’atteggiamento schizofrenico crea notevole confusione e ambiguità. In tal modo, alcune manifestazioni della pietà popolare sono resi strumenti di ostentazione di potere, di acquisizione di consenso sociale e di onorabilità ecclesiale. In realtà queste manifestazioni pseudo religiose non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento dei valori evangelici.

Si richiede un’estrema vigilanza da parte dei pastori della chiesa, affinché le espressioni della religiosità popolare non diventino il set su cui i mafiosi possano inscenare una rappresentazione del loro potere intimidatorio e di seduzione verso i giovani. Bisogna che le comunità di fede, a partire dalla fedeltà al Vangelo, si rendano protagoniste di una loro lotta alle mafie e dello sviluppo di una teologia della liberazione nei confronti di un’organizzazione, che rende schiavi di un potere basato sulla violenza e l’ingiustizia, ossia sull’esatto opposto dell’autentica fede.

La resistenza alla mafia esige un rinnovato impegno educativo che porti a un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, per non fare del denaro e della ricerca del potere gli idoli cui sacrificare tutto a partire dalla vita delle persone.  Bisogna analizzare criticamente il fatto che, spesso, vari mafiosi si ritengono membri della chiesa a pieno titolo, nient’affatto fuori della sua comunione, nonostante la loro appartenenza a quella “struttura di peccato” che è la cosca mafiosa.

A Sibari il 21 giugno 2014 aveva dichiarato: ”Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”. Papa Francesco non fa solo notare lo stato di peccato grave in cui si trovano i mafiosi, ma che questa condizione di peccato dei mafiosi è anche un delitto penale che comporta la scomunica, perché c’è l’idolatria, l’adorazione del male, del denaro che prende il posto dell’adorazione per il Signore.

Il Papa coinvolge nello stesso atto di condanna sia la ’ndrangheta sia la mafia, la camorra, la sacra corona unita e altre forme di criminalità organizzata di stampo mafioso. Anche se diverse conferenze episcopali regionali hanno ribadito la scomunica per i mafiosi, sarebbe opportuno che fosse emanata una legge penale di carattere universale, che dovrebbe contenere una configurazione del delitto canonico di mafia la più ampia possibile, appunto perché il fenomeno assume oggi contorni globali.

In una società secolarizzata, è importante far prendere coscienza dell’appartenenza ecclesiale, mettendo in chiaro che c’è una scomunica di fatto che entra in vigore, anche a prescindere dalla scomunica comminata con un decreto giuridico: consiste nell’auto-esclusione dalla comunione con il Signore e con i suoi discepoli, cui si “condanna” chi preferisce incancrenirsi nell’appartenenza alla mafia. Se non si aiutano le persone a recuperare il senso dell’appartenenza alla Chiesa, l’esclusione giuridica dalla comunione ecclesiale, inflitta con una sanzione canonica, rischierà di essere non compresa – prima ancora che temuta o contestata – da parte delle persone affiliate alle mafie.