Le indicazioni per il futuro che può dare il Sinodo dei Vescovi

Il Sinodo dei Vescovi, impostato sul tema della sinodalità, risulta di grande aiuto nel dare già alcune indicazioni per il prossimo futuro. Recuperando e rilanciando i concetti-chiave del Vaticano II. E, soprattutto, sintonizzandosi su quello che era stato il suo orizzonte teologico e pastorale, il ritorno alle radici del mistero stesso di Cristo incarnato, crocifisso e risorto, ma che poi non aveva avuto un seguito nel processo post-conciliare. Diceva il grande Henry de Lubac: “È necessaria una nuova sintesi nella Chiesa e nell’uomo tra esperienza terrena e trascendenza”. E cioè, la Chiesa, pur nella sua unità essenziale, deve saper vivere il Vangelo nelle diverse situazioni del mondo. E l’uomo, pur immerso nell’avventura terrena, deve saper trovare nel Vangelo il significato ultimo della propria storia.

Nella conversazione con i gesuiti canadesi, durante il viaggio in quel Paese, Francesco ha raccontato che, alla fine dell’ultimo Sinodo, nel sondaggio sui temi da affrontare nel successivo, i primi due erano stati il sacerdozio e la sinodalità. “Ho capito che bisognava riflettere sulla teologia della sinodalità per fare un passo avanti decisivo”. Papa Francesco ha inaugurato ufficialmente il Sinodo, nella basilica di San Pietro, esortando la Chiesa ad un esame di coscienza sulla sua capacità di incarnare lo “stile di Dio”, fatto di incontro, ascolto e discernimento e incarnato dall’atteggiamento di Gesù, che «non guardava l’orologio» pur di mettersi a disposizione delle persone incontrate sulla strada. «Oggi, aprendo questo percorso sinodale, iniziamo con il chiederci tutti – Papa, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e fratelli laici, tutti i battezzati –: noi, comunità cristiana, incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità? Siamo disposti all’avventura del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del ‘non serve’ e del “si è sempre fatto così?».

Si è aperta con questa serie di domande, sotto forma di esame di coscienza, l’omelia di Papa Francesco per la Messa di apertura della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Il Sinodo non è «una convention ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito Santo», ha ribadito il Papa: «In questi giorni Gesù ci chiama, come fece con l’uomo ricco del Vangelo, a svuotarci, a liberarci di ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi», ha spiegato Francesco: «a interrogarci su cosa ci vuole dire Dio in questo tempo e verso quale direzione vuole condurci. L’incontro e l’ascolto reciproco non sono qualcosa di fine a sé stesso, che lascia le cose come stanno», il monito del Papa: «Al contrario, quando entriamo in dialogo, ci mettiamo in discussione, in cammino, e alla fine non siamo gli stessi di prima, siamo cambiati. Il Sinodo è un cammino di discernimento spirituale, che si fa nell’adorazione, nella preghiera, a contatto con la Parola di Dio. Che possiamo essere pellegrini innamorati del Vangelo, aperti alle sorprese dello Spirito Santo», l’auspicio finale. «Viviamo questo Sinodo nello spirito della preghiera che Gesù ha rivolto accoratamente al Padre per i suoi: “Perché tutti siano una sola cosa”. A questo siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio. Tutti, senza distinzioni, e noi Pastori in particolare».

«Comunione e missione sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria», ha detto il Papa, ricordando che il Concilio Vaticano II «ha chiarito che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa e, allo stesso tempo, ha affermato che la Chiesa ha ricevuto la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio. Due parole attraverso cui la Chiesa contempla e imita la vita della Santissima Trinità, mistero di comunione ad intra e sorgente di missione ad extra. Dopo un tempo di riflessioni dottrinali, teologiche e pastorali che caratterizzarono la ricezione del Vaticano II, San Paolo VI volle condensare proprio in queste due parole – comunione e missione – le linee maestre, enunciate dal Concilio», ha ricordato Francesco citando le parole di Papa Montini nell’Angelus dell’11 ottobre 1970.